di Umberto Cecchi
La ‘politica del ristorante’ è nata nel momento in cui l’uomo imparò che la carne arrostita sul fuoco era più appetibile della cruda. Certo, ci furono evoluzioni importanti da Trimalcione a Luigi XIV, dove i cuochi ebbero la precedenza sui diplomatici e sui manipolatori della politica, fino a oggi, dove tutto è in crisi nera, visto come si amministrano le sostanze pubbliche ottenute con tasse esose che ci dovrebbero permettere d’avere un paese moderno, e invece ne abbiamo uno che, tanto per citare, rimanda vergognosamente una analisi medica anche di un anno, e se muori pazienza. Ma torniamo alla politica del ristorante. Tutti avranno già letto una notizia di alcuni giorni fa: Salvini va a mangiare al nuovo ristorante romano inaugurato dal figlio di Denis Verdini, e guarda caso ci incontra proprio lui, Denis. Segue un rapido scambio di saluti, quattro battute e una qualche considerazione politica sui fatti del momento. Poi ognuno va per la sua strada.
Era un po’ di tempo che la gente mi chiedeva che cosa stesse facendo secondo me, il gran consigliere del Gran Cavaliere. L’uomo che come ultima carta, affatto sciocca, aveva creato il patto del Nazzareno, magari ben più utile per lui che non per i due possibili protagonisti individuati per stringere l’accordo che aleggiava sul vecchio collegio del Padri Scolopi romani: Berlusconi, che stava raccogliendo le ultime briciole di Forza Italia, e Renzi che raggranellava quelle residue del Pd. Due condottieri alla resa dei conti, con l’esercito decimato, per i quali, un qualsiasi specchietto per le allodole, andava a pennello. E Denis di specchietti per le allodole era ed è, presumo, ancora un maestro. Si perché comunque sia Verdini ha un cervello politico, elabora eventi. Inventa alleanze, recupera vecchi dipendenti e li mette a sedere sugli scanni del Parlamanto e magari finito il cursus honoris li recupera ancora in qualche giornale da lui amministrato dopo averli fatti transitare da un partito all’altro, brevettando così il nomadismo della politca, che è la cosa peggiore che possa esistere in una democrazia moderna, dove si prendono i voti elargiti dal popolo sovrano per essere usati in un certo modo, e invece si adoperano portandoli in un partito al quale non erano destinati. Si chiamava un tempo tabe politica.
E dunque, che sta facendo adesso Verdini, dopo la collezione di condanne raccolta perché con la scusa della politica si era spinto otre il consentito? Difficile dirlo, ma chi immagina che sia entrato in letargo sbaglia. Sa che nella maggioranza di governo tenuta insieme da un contratto d’alleanza, le cose vanno sempre meno bene, sa che il Pd con ‘Montalbano’ sta correndo al recupero, sa che una certa destra sta lavorando per consoldarsi, e quindi, in un laboratorio d’alchimie come questo sa che il suo acume non guasta: ha rispolverato il crogiolo dell’alchimsta, lo ha sistemato come un fornello qualsisi, e ha riaperto con la politica. E quale punto di ritrovo migliore se non un buon ristorante capitolino? La grande bellezza romana è fondata sui ristoranti, come hanno dimostrato ‘Fortunato al Panheon’ o a suo tempo ‘Il Tartarughino’ o ‘il Bolognese’, e quindi ripartiamo da Lì. Metti una sera a cena da ‘Camponeschi’ in piazza Farnese a due passi da casa Previti.