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Migranti, 12 Paesi Ue vogliono un ‘muro’

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Dodici Paesi dell’Ue, non solo i ‘duri’ del gruppo di Visegrad, chiedono alla Commissione Europea di modificare il codice delle frontiere di Schengen per consentire agli Stati di erigere “barriere fisiche” per proteggere i confini esterni dell’Unione, finanziate dal bilancio Ue. Le “barriere fisiche”, scrivono dodici ministri dell’Interno alla Commissione, “sembrano essere una misura efficace di protezione delle frontiere, che servono gli interessi dell’intera Unione, non solo degli Stati membri di primo arrivo”. 

Per i 12, cui va aggiunta la Slovenia che ha la presidenza di turno del Consiglio, questa misura “legittima” dovrebbe essere “adeguatamente finanziata dal bilancio Ue, in via prioritaria”. Lo stesso dovrebbe valere per la Green Line a Cipro, che non è un confine esterno dell’Ue perché Bruxelles non ha mai riconosciuto l’occupazione turca della parte orientale dell’isola. La lettera, rivelata da Eu Observer nel giorno in cui i ministri dell’Interno si riuniscono a Lussemburgo proprio per parlare di migrazioni, è firmata dai ministri di Austria, Bulgaria, Cipro, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Grecia, Ungheria, Lituania, Lettonia, Polonia e Slovacchia.  

Dalla lista mancano i Paesi fondatori, ma non è limitata ai quattro del gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca). Ci sono anche Paesi mediterranei, come Cipro e la Grecia, e persino uno Stato governato da una premier socialdemocratica, la Danimarca di Mette Fredriksen, non nuova alla linea dura in materia di migrazioni. 

La proposta non piace troppo alla Commissione, che da oltre un anno ha messo sul tavolo un pacchetto legislativo che non ha fatto progressi, a causa delle persistenti divisioni tra gli Stati membri. Tuttavia la commissaria agli Affari Interni Ylva Johansson si è mostrata aperta e comprensiva nei confronti delle ragioni dei 12. “Abbiamo davvero bisogno – ha detto – di rafforzare la protezione dei confini esterni dell’Ue. Alcuni Stati membri costruiscono barriere e li capisco. Non ho nulla in contrario. Ma non penso che sia una buona idea usare fondi Ue”, che sono “limitati” e che servono per altre cose, per “costruirle”. La Commissione ha “presentato proposte che consentono agli Stati di fronteggiare situazioni di crisi e credo che gli Stati debbano approvare, magari emendandole, le proposte che sono sul tavolo”, invece di presentare “nuove proposte”. 

Presidenza Ue: sosteniamo 12 Stati su barriere
 

Si smarca decisamente dalla Commissione la presidenza di turno del Consiglio Ue: il ministro dell’Interno sloveno Ales Hojs dice che Lubiana sostiene la posizione dei dodici. “Chi ha un confine esterno ha obblighi aggiuntivi – ricorda – se dovessi scegliere tra i respingimenti e costruire una barriera, non ho dubbi: costruirei una barriera”. La Slovenia, assicura, “sosterrà la proposta” dei 12, anche perché “dopo il disastro del 2015, la Slovenia ha deciso di erigere barriere, a sue spese, su parte del confine della Croazia, e continuerà a farlo in futuro” per arginare i flussi. “E’ chiaro che, se fermiamo 14mila migranti irregolari l’anno a un confine interno dell’Ue, allora la protezione del confine esterno dell’Unione non è efficiente. Ed è nostro dovere proteggere i confini. La Slovenia sosterrà questa proposta”, conclude.  

A determinare questo slittamento, alla luce del sole, verso la linea dura in materia migratoria, che il premier ungherese Viktor Orban predica da anni (l’Ungheria ha costruito una barriera fisica, con il filo spinato, per respingere i migranti che tentano la rotta balcanica), è quanto accade al confine con la Bielorussia. Il regime di Aleksandr Lukashenko, colpito dalle sanzioni decise dall’Ue come rappresaglia per il dirottamento di Stato di un volo Ryanair Atene-Vilnius al solo fine di arrestare un giornalista scomodo e per la repressione contro i manifestanti antigovernativi, da mesi invia ai confini con Polonia, Lettonia e Lituania migranti fatti arrivare in aereo da Irak, Congo Brazzaville, Camerun e Siria. 

Migranti che vengono “attirati a Minsk”, dove sono “ospitati in hotel di Stato”, come ha detto Johansson, prima di essere accompagnati alla frontiera in furgoni “senza insegne”. Non è la prima volta che un Paese terzo utilizza i migranti come arma di pressione nei confronti dell’Ue o di Stati membri: lo ha fatto la Turchia al confine terrestre con la Grecia nella primavera del 2020, poco prima che scoppiasse la pandemia di Covid-19, e lo ha fatto il Marocco nei confronti della Spagna, per rappresaglia contro la decisione di curare dal Covid un esponente di punta del Fronte Polisario.  

A spiegare la ‘ratio’ della richiesta alla Commissione è stata a Lussemburgo la ministra dell’Interno lituana, Agné Bilotaité: “Quest’estate – ha detto – è stata molto dura e difficile per la Lituania. Quello che accade nell’immigrazione illegale è un attacco ibrido contro la Lituania e contro tutta l’Europa. In questa situazione servono cambiamenti nel quadro giuridico Ue e nelle politiche migratorie, perché dovremmo poter rispondere in modo più forte quando fronteggiamo attacchi ibridi di questo tipo”.  

Intanto, la Commissione fatica non poco a far avanzare il patto per le migrazioni proposto nel settembre 2020, che è fermo. La commissaria Ylva Johansson, davanti ad un’inchiesta di diversi media europei, tra cui Der Spiegel, che ha documentato respingimenti illegali ai confini esterni della Croazia e della Grecia, loda Zagabria perché ha assicurato che indagherà, ma bacchetta Atene che, fa capire, non ha assicurato un adeguato seguito a quanto pubblicato sui media (tedeschi, per inciso). 

Alla commissaria svedese risponde a muso duro il ministro greco dell’Interno Notis Mitarachi, che non le manda a dire: la Grecia, scandisce, si aspetta che la Commissione faccia “molto di più” per far rispettare gli accordi presi con la Turchia nel 2016. “Ogni gommone che parte dalle coste turche” viola quell’accordo, sottolinea il ministro. “Naturalmente” la Grecia indagherà sui “presunti respingimenti” illegali, ma “ci aspettiamo – sottolinea – che la Commissione Europea faccia molto di più per la dimensione esterna, per la tutela dei confini esterni, per i rimpatri di coloro che non hanno diritto alla protezione internazionale”. 

Le migrazioni saranno specificamente all’ordine del giorno del Consiglio Europeo del 21 e 22 ottobre, su richiesta dell’Italia e come follow-up al summit di giugno. Non è in discussione la redistribuzione dei migranti, come non lo era a giugno. Poiché si tratta di un tema altamente divisivo, la scelta è quella di procedere sul versante della questione sul quale si può trovare un consenso, e cioè sulla dimensione esterna. Dalla Commissione ci si aspetta che metta sul tavolo cifre e impegni precisi per lavorare con i Paesi di origine e di transito dei migranti, in particolare per quelli dell’Africa Settentrionale e Subsahariana.  

Intanto, si continua a guardare con una certa preoccupazione alla situazione in Afghanistan, un Paese in cui si rischia una catastrofe umanitaria. Johansson ha sottolineato che gli Stati Ue hanno accolto circa 22mila afghani, ma ha sottolineato la necessità di esaminare e sottoporre ad uno screening attento le persone che arrivano da quel Paese.