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Infettivologa Lichtner: “Monoclonali funzionano ma possiamo fare di più”

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“Gli anticorpi monoclonali funzionano. Abbiamo ottenuto un’ottima risposta da parte degli 801 pazienti positivi a Covid-19 trattati con questi farmaci, evitando loro – soggetti a rischio per varie comorbidità – che sviluppassero la forma grave della malattia o che finissero in terapia intensiva. L’ospedale Santa Maria Goretti di Latina è il centro che nel Lazio ha effettuato più somministrazioni di anticorpi monoclonali, ma possiamo fare di più per evitare ospedalizzazioni e decessi”. Così Miriam Lichtner, primario del reparto di Malattie infettive dell’ospedale Goretti di Latina, in prima linea nella gestione dell’emergenza sin dall’inizio, fa il punto sulla base dell’esperienza maturata nel campo dei monoclonali anti-Covid in uso dal marzo 2021.  

“Abbiamo iniziato le somministrazioni dopo il parere favorevole dell’Aifa e la pubblicazione del decreto in Gazzetta Ufficiale – spiega Lichtner – organizzando un percorso e una rete efficace ed efficiente. Da allora abbiamo trattato con l’associazione di anticorpi monoclonali 801 pazienti, un numero di somministrazioni molto importante. Nel Lazio siamo il centro che ne ha fatti di più finora, un obiettivo che abbiamo raggiunto attraverso due modalità: prima di tutto con il rapporto diretto con i medici di medicina generale e gli altri ospedali del territorio e poi, nel momento in cui c’era un calo delle richieste, cominciavamo ad arruolare le persone con la chiamata attiva. Il mio reparto ha la possibilità di vedere giornalmente la piattaforma dei positivi al Sar-CoV-2. Di questi, i pazienti che hanno le caratteristiche per essere sottoposti al trattamento con i monoclonali venivano e vengono tuttora chiamati direttamente. In questo momento, con l’aumento dei casi, abbiamo una media di 10-15 somministrazioni al giorno effettuati in due turni”.  

L’identikit del paziente da sottoporre al trattamento con gli anticorpi monoclonali in questi mesi è cambiato. “All’inizio avevamo la possibilità di arruolare soltanto i soggetti che avevano un’età maggiore ai 65 anni associata a una comorbidità – ricorda Lichtner – A mano a mano, con l’allargamento dei criteri, l’età della popolazione è cambiata: oggi trattiamo pazienti con un’età media di 60 anni, ma anche grandi anziani. Abbiamo trattato una donna di 105 anni, anche se non mancano ragazzi di 12-13 anni con patologie respiratorie o con problemi neuropsichiatrici. Oggi tutti i pazienti con più di 65 anni anche senza altri fattori di rischio sono candidati alla terapia. Anche pazienti più giovani, ma con patologie come l’ipertensione, l’asma, le broncopneumopatie croniche, i tumori, le immunodepressioni, il diabete possono essere trattate”.  

I soggetti più a rischio di sviluppare la forma grave dell’infezione da Sars-CoV-2 sono persone in sovrappeso o obese, con pregresse patologie respiratorie (asma o Bpco) e metaboliche (diabete). “Questi pazienti vanno intercettati precocemente”, avverte Lichtner che aggiunge: “Nella nostra esperienza con i monoclonali, nel 97% dei casi il paziente non ha sviluppato forma grave, la sua infezione non è evoluta in polmonite e quindi non è poi finito in terapia sub-intensiva o intensiva”. Inoltre, “nell’80% dei casi il paziente ha avuto una risoluzione dei sintomi nell’arco di 7-10 giorni – sottolinea l’infettivologa – quindi l’efficacia è stata ed è molto importante. Risultati ottenuti, va detto, nei soggetti a rischio che si presentano alla nostra osservazione ancora nella fase della malattia paucisintomatica o sintomatica e che ancora non si è trasformata in polmonite”.  

Al momento al Goretti di Latina si procede con le somministrazioni di anticorpi monoclonali endovenose, “ma presto potremmo avere a disposizioni somministrazioni più semplici, ad esempio sottocutanee o anche i nuovi farmaci antivirali per bocca – evidenzia Lichtner – Nel frattempo abbiamo organizzato gli ambulatori, aperti al mattino e il pomeriggio, per far fronte a tutte le richieste. Non è tutto: con il supporto della Asl di Latina, stiamo lavorando per facilitare il trasporto dei pazienti, la maggioranza dei quali sono soggetti fragili e con limitata mobilità. Per questo motivo abbiamo organizzato un servizio di ambulanze: le persone vengono trasportate da casa all’ospedale e dall’ospedale a casa. Si tratta di un modello organizzativo molto efficace”.  

Investire sulla prevenzione – e i monoclonali rientrano nella prevenzione secondaria – per la responsabile di Malattie infettive dell’ospedale Goretti è una priorità. “Dobbiamo intercettare il paziente quando è nella fase iniziale della malattia – raccomanda l’esperta – ma oggi è una cosa difficile da capire. Purtroppo si pensa ‘perché investire delle risorse in un paziente che fondamentalmente sta bene e qualche tempo fa a questo paziente dicevamo di stare a casa?’. Invece dobbiamo investire perché crediamo nella prevenzione, crediamo che seguire oggi quel paziente significa evitare di trattarlo in forma grave semmai dopo 4-7 giorni. Dobbiamo credere in questo intervento, ci sono i dati scientifici, ci sono i dati di real-life e quindi dobbiamo fare in modo che i centri dove si effettua la somministrazione di anticorpi monoclonali siano potenziati. ma per farlo servono più infermieri e più medici oltre alla rete di trasporti”.  

La conferma che con i monoclonali si evitano ricoveri nelle terapie intensive e decessi arriva dai numeri. “Nella nostra casistica di 801 pazienti al 15 dicembre, se consideriamo che il 30% poteva sviluppare la forma grave della malattia, abbiamo evitato che 240 persone potessero evolvere nella malattia seria”, conclude Lichtner.