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Chiesta riduzione pena per Montante, Pg ‘Antimafia di facciata’

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(dall’inviata Elvira Terranova) – “In parziale riforma chiede la riduzione della pena da 14 anni a 11 anni e 4 mesi di carcere”. Mancano pochi minuti alle 17.30, quando il sostituto procuratore generale Giuseppe Lombardo chiude la requisitoria fiume e chiede la riduzione della pena per Antonello Montante, l’ex Presidente degli industriali siciliani sotto processo, con il rito abbreviato, per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione, favoreggiamento, rivelazione di segreto d’ufficio e accesso abusivo al sistema informatico. Una riduzione di quasi tre anni per l’ex potente icona dell’antimafia, assente perché in quarantena ad Asti, dove ha l’obbligo di dimora. In aula ci sono i suoi legali, gli avvocati Giuseppe Panepinto e Carlo Taormina che all’uscita dall’aula bunker del carcere Malaspina di Caltanissetta preferiscono non parlare. Per la Procura generale i motivi di appello presentati dalla difesa, dopo la condanna di primo grado a 14 anni di reclusione, sarebbero “infondati”. “E’ stata vera antimafia o antimafia di facciata?”, ha detto il pg nel corso della lunga requisitoria, a porte chiuse. E ha aggiunto: “Non spetta a questo processo rispondere all’interrogativo”.  

Al processo spetta, invece, capire se davvero Montante è stato a capo di un vero e proprio sistema di spionaggio, con l’avallo di funzionari di Polizia e alti ufficiali. “C’è stata una corsa al potere, anche spasmodica – dice ancora il pg nella requisitoria – non spetta al processo rispondere all’interrogativo. Di certo c’è che la logica del favore è incompatibile con l’azione antimafia e che il rispetto delle regole non ammette zone franche. La lezione è che è necessario un bagno di umiltà”. 

Il magistrato dice ancora che quella di Montante è stata “una catena di montaggio nel quale ognuno aveva il suo ruolo”, e che “tutti sapevano che facevano un favore a Montante e in cambio avevano dei vantaggi”. Secondo l’accusa, Antonello Montante, servendosi degli “accessi abusivi al sistema informatico”, riuscendo a “ottenere mediante sistematiche azioni di corruzione, notizie segrete” su “indagini” o sul contenuto “della banche dati della polizia”, l’ex leader di Confindustria Sicilia “non gestiva potere, ma lo creava” ed “utilizzava il potere conquistato negli Enti pubblici e privati quale bacino per collocare i clientes” come “moneta di pagamento per i favori illeciti che questi gli rendevano”, come aveva scritto la Gup di Caltanissetta Graziella Luparello nelle motivazioni della sentenza del processo in cui l’imprenditore era condannato, nel maggio 2019, a 14 anni di reclusione. La Procura aveva chiesto la condanna in primo grado a dieci anni e mezzo. 

Ecco le richieste per gli altri quattro imputati: Per il generale Gianfranco Ardizzone, ex comandante provinciale della Guardia di Finanza di Caltanissetta, l’accusa ha chiesto alla corte di confermare la condanna a tre anni di reclusione oltre all’applicazione della pena accessoria della degradazione da generale a colonnello delle Fiamme gialle. Anche per il sostituto commissario Marco De Angelis è stata chiesta dall’accusa la conferma della condanna di primo grado a quattro anni con esclusione della sanzione pecuniaria. Ieri il Pg, a conclusione della prima parte della sua requisitoria, aveva chiesto la conferma della condanna ad un anno e quattro mesi anche per il questore Andrea Grassi con la concessione delle attenuanti generiche che porterebbe la pena a dieci mesi. Per Diego Di Simone, capo della security di Confindustria è stata chiesta la condanna a 6 anni e 4 mesi.  

Per l’accusa “la sistemazione lavorativa o il trasferimento del pubblico ufficiale di turno, o di parenti o amici di questi era la valuta spesa da Montante per remunerare i sodali; una sorta di ripartizione degli utili prodotti da un’impresa che, con modalità illecite, creava e gestiva il potere. Infine Montante era colui al quale va doverosamente riconosciuto il diritto d’autore sulla nascita dell”Antimafia confindustriale’ quale forma di ‘business’ utile a garantire un posto ai tavoli che contano”, come scriveva la gup nella sentenza di primo grado. 

Ma qual era il ruolo svolto dai poliziotti, secondo quanto emerge dalla sentenza di primo grado? “È evidente come Montante, Di Simone e De Angelis fossero legati da un foedus (patto, ndr) da cui nasceva una organizzazione stabile, il cui oggetto sociale consisteva nella commissione di un numero indeterminato di accessi abusivi al sistema informatico”. E secondo il gup è “altrettanto evidente come Montante fosse legato da analogo rapporto associativo con l’imprenditore Massimo Romano, con il colonnello Gianfranco Ardizzone, gli ufficiali della Finanza Ettore Orfanello e Mario Sanfilippo, responsabili di avere orientato l’attività istituzionale – tra verifiche fiscali e indagini penali – verso il soddisfacimento dell’interesse personale di Montante, ricavandone apprezzabili e significative utilità (posti di lavoro e trasferimenti)”. Molto dura la gup nella sentenza. Secondo la giudice, sarebbe partito tutto tra il 2004-2005, cioè “gli anni in cui si travestiva da uomo della Provvidenza, unto dal Signore per redimere i peccatori, fossero essi imprenditori, giornalisti o liberi professionisti, flagellarli per i loro misfatti e purificarli”.  

In quegli anni Montante aveva iniziato a denunciare atti intimidatori, “commessi da vacue sagome talmente impalpabili e diafane da sfuggire persino all’attenta percezione degli stessi appartenenti alla mafia – si leggeva nella sentenza -. Le denunce di quelle presunte minacce costituivano il primo sintomo di quella degenerazione superoministica che conduceva, lentamente, Montante alla deriva”. Montante era stato descritto dal giudice come un “demiurgo non già del linguaggio dell’antimafia, ma dell’antimafia del linguaggio” che “autoinsignitosi ‘paladino dell’antimafia’, ha esteso l’etichetta ai suoi amici e sodali, dichiarando mafiosi i suoi avversari, in difetto di qualsiasi prova di mafiosità”.  

Secondo il Gup, tramite quell’operato si è “assistito a un ‘golpe’ linguistico” con la parola “mafia diventata il luogo nominale nel quale confinare tutti gli eretici alla religione di Montante, volta alla costruzione di un sistema di potere formalmente corale, ma sostanzialmente egocatrico” mentre la parola “antimafia era il santuario degli osservanti morigerati del pensiero di Montante” per assicurarsi “ascesa sociale e occupazione di posti di potere”. “La presunta attività di contrasto alla criminalità organizzata – scriveva ancora il Gup – tanto agitata dalla difesa di Montante, si limitava all’azione di denuncia condotta da pochi elementi (tra i quali Cicero) che, con una sorta di involontario ‘naif’ comportamentale e senza raffinati filtri critici, si immergeva in azioni di contrasto contro soggetti, alcuni dei quali, si scoprirà essere stati oggetto di attenzione dossieristica da parte di Montante. Dunque, non regge affatto la tesi per cui Montante lungi dall’essere il vertice del sodalizio criminale, era il paladino dell’Antimafia”.  

Per l’accusa “il motore di un meccanismo perverso di conquista e gestione occulta del potere che sotto le insegne di un’antimafia iconografica ha sostanzialmente occupato mediante la corruzione sistematica e le raffinate operazioni di ‘dossieraggio’ molte delle istituzioni pubbliche dando vita a un fenomeno che non è mafia bianca, ma trasparente, apparentemente priva di consistenza tattile e visiva e perciò in grado di infiltrarsi eludendo la resistenza delle comuni misure anticorpali”. Per l’accusa Montante aveva “una spiccata attitudine di Montante alla manipolazione della realtà, mediante manovre di varia natura, unificate, sul piano teleologico, dall’obiettivo di precostituire prove a sé favorevoli”. Il processo è stato rinviato al prossimo 21 gennaio per gli interventi delle parti civili. E poi toccherà ai legali degli imputati. La sentenza è prevista per la tarda primavera.