Il caso Ucraina non è uno scherzo. Che Putin voglia seriamente entrare a Kiev sembra teoricamente remoto, tuttavia, le tensioni crescono e ormai niente può essere dato per scontato. Già l’anno scorso il governo di Mosca aveva portato avanti una grande dimostrazione militare vicino al Donbass, il territorio che ormai da 8 anni è teatro di una fumosa guerra civile. Nel 2014, infatti, la Russia invase e annesse la Crimea (dopo un referendum poi definito invalido dalla comunità internazionale). Oltre alla penisola sul Mar Nero, che ha spezzato l’Ucraina in due, anche i territori in cui scorre il fiume Don iniziarono una lunga e inarrestabile guerra civile in cui presero parte e continuano a farlo militari e mercenari pagati dalla Russia.
La Nato in tutti questi anni è stata in vigile allerta, ma lontana, sicura del fatto che Putin non avrebbe cercato nuovamente di entrare in Ucraina, paese troppo vicino ai confini dell’Unione Europea e a quelli già inseriti all’interno dell’Alleanza Atlantica (di cui l’Ucraina non fa parte). Ad affiancare questa certezza anche il portato strategico dal punto geopolitico: dall’Ucraina passa il gasdotto che rifornisce l’Europa. Un territorio che diventa precario a causa del nuovo condotto che dovrebbe passare dal baltico e arrivare diretto in Germania: il Nord Stream 2, a cui (almeno a parole) si oppongono anche gli Stati Uniti.
L’agenda estera statunitense, poi, si è per molto tempo concentrata sul contesto del Pacifico, inserendosi in una contrapposizione con la Cina e non più con la Russia che, seppur forte dal punto di vista militare, può contare ben poco sul nuovo assetto geopolitico mondiale, che si sposta sempre più a Sud, tra l’Indocina e l’Africa. Anche in Oriente e in Medio Oriente l’intervento cinese è diventato sempre più rilevante in confronto a quello russo, che è stato fortemente ridimensionato, anche grazie alle strategie neocoloniali del governo di Pechino. Un fatto, questo, che ha portato il caso ucraino in secondo piano per diversi anni.
Oggi, però, le conseguenze della pandemia ridefiniscono le priorità. Un fatto inevitabile: la crescita comporta maggiori costi, una maggior domanda, una carenza nell’offerta, l’inflazione. Una maggior richiesta di materie prime e il gas è un fattore essenziale per la nostra crescita (non è un caso infatti che ieri le aziende energetiche fossero a colloquio con Putin). Tutto questo rappresenta una nuova sfida anche per l’Italia, che deve decidere come posizionarsi all’interno dello scacchiere e con quale ruolo: Draghi al Colle può essere così influente come a Chigi? E, nel caso dovesse salire al Quirinale, chi sarebbe adeguato a ricoprire una carica così importante in un momento tanto difficile, anche sulla politica estera?
Ritornando al gas: il costo incrementa rapidamente e Putin ha capito perfettamente che questo è il momento perfetto per dimostrare che ancora vale qualcosa.
I motivi sono molteplici: la popolazione russofona del Donbass chiede da tempo di tornare a far parte della Grande Russia, mentre l’altra parte della popolazione è del tutto contraria a tornare all’interno della federazione. I russi, molto patriottici e pronti a rinsaldarsi in un fronte comune per quanto concerne la politica estera, sono a favore di un intervento di Putin, che sconta all’interno problemi legati all’economia reale e, di conseguenza, anche una maggior ritrosia nei confronti del Presidente.
Putin prepara le armi da mesi, le stanzia vicino al confine e tutto sembra pronto per la guerra. Intanto tace. È il gioco della deterrenza: gli Stati Uniti e la Nato devono parlare e rispedire al mittente muto il messaggio che non può attaccare, pena un intervento militare congiunto dell’Alleanza Atlantica, che però è ancora lontano. Intanto, l’Unione Europea sconta la mancanza di un suo esercito e di una sua intelligence comune, ma più in generale di una politica estera congiunta. Ognuno va per conto suo e tutto diventa problematico. Anche i Protocolli di Minsk, che dovrebbero aiutare Ucraina e Russia nella tenuta del confine, non sono stati rispettati e gli attori in gioco, Francia, Germania, Russia e Ucraina, hanno lasciato correre: nessuno dei due stati ha, infatti, rispettato gli impegni presi.
Oggi, quindi, siamo al punto di partenza: sarà un nuovo 2014? Difficile rispondere. Sarebbe necessario anche comprendere quanto davvero tutti abbiano intenzione di scendere sul campo con attacchi reali in un’area così prossima all’Europa politica, interna all’Europa continentale. Non ci sono risposte, molti dubbi, sperando che non si arrivi al peggio.
Per approfondimenti storici e sulla situazione di un anno fa: Donbass: le tensioni infinite del confine russo-ucraino | Prosperous Network