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Mattarella, ovvero la stabilità precaria

Lorenzo Ottanelli
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Sergio Mattarella per la seconda volta Capo dello Stato. Il Presidente della Repubblica è il garante della Costituzione e Mattarella ha svolto il suo compito egregiamente, è amato dai cittadini e nessuno può dire che non sia uno dei migliori Presidenti della storia repubblicana. Un segno di stabilità interna e internazionale, ma anche il simbolo di una politica incapace di dialogare con sé stessa, di una classe politica inefficace nel tessere relazioni e appuntare strategie.

Da questa tornata elettorale, tutta interna alla classe politica, sono molti i punti che imprigionano i grandi elettori nella morsa dell’irresponsabilità. Dalla mancanza di dialogo precedente a lunedì, fino all’impossibilità di venire ad un accordo comune, passando per le trattative indecenti con metodi inspiegabili, frutto di un vuoto che rende tutto ciò ancora più distante dai cittadini.

Chi ha seguito le varie giornate non ha capito un granché. È stato tutto un sistema di incomprensioni, prese di parte e affermazioni granitiche con nomi fatti a sproposito e bruciature all’ultimo minuto. Una resa dei conti che è il sintomo di un sistema che non funziona: le coalizioni non ci sono più. La destra, che siamo certi si ricompatterà attorno alla figura di Giorgia Meloni, al momento è in preda all’incertezza più completa: dopo la bocciatura di Casellati (la cui elezione era remotissima) e la spaccatura nella rielezione di Mattarella è tutto troppo insicuro. Nessuno, al momento, ha la percezione di arrivare nel 2023 e vincere le elezioni a mano bassa, con una maggioranza assoluta che lo faccia governare.

Dall’altra parte della barricata, anche la sinistra è rimasta orfana di una congiunzione tra partiti. Conte e Letta non sono stati in grado di mettere al centro della propria agenda una strategia, seppur vero che non avrebbero mai avuto una maggioranza per concludere alcunché. Il Movimento 5 Stelle è il partito più spaccato e al suo interno fioriscono più correnti che deputati. Il Pd in Parlamento ha una forza di un risicato 12%, dopo la fuoriuscita dei renziani, che remano in ogni direzione.

Il resto del Parlamento è un misto di parlamentari di centro ed ognuno va per conto suo. Italia Viva pone i suoi veti a destra e a sinistra facendo il bello e il cattivo tempo (è un gruppo molto influente, dato il peso che ha con i suoi grandi elettori). Gli altri partitini di centro liberale come +Europa e Azione sono più spinti verso una direzione “a sinistra”, mentre Cambiamo, Coraggio Italia e Noi con l’Italia sono ancora interni al Centrodestra. Non sono poca cosa e anche loro rappresentano un problema nel conteggio totale dei grandi elettori, il confronto quindi si fa disparato e difficile.

Insomma, sembra una grande accozzaglia di gente che non riesce a trovare un accordo. Spiriti liberi che si aggirano tra gli scranni di Montecitorio. Molti fanno parte della maggioranza di governo ma non riescono a trovare una figura istituzionale da proporre. Un vulnus che non rappresenta stabilità ma solo incertezza. La stabilità sta solo nei nomi apicali, Mattarella e Draghi, e nella situazione: il 2022 sarà un anno elettorale complesso con un 2023 difficile anche per la composizione di un nuovo governo e un Parlamento ridotto. Andare ad elezioni anticipate sembra difficile, molti non saranno riconfermati.

Intanto, Mattarella siede di nuovo al Colle e questo è rassicurante, anche a causa dei nomi poco istituzionali e autorevoli di cui si era sentito il nome. Ora però la classe politica deve rivedere sé stessa. Nessuno ha fatto bella figura: sono tutti usciti sconfitti, checché ne dicano. Un altro gradino in una spirale discendente: i cittadini da oggi hanno meno fiducia e riconquistare elettori si fa sempre più difficile. Alla faccia della stabilità.