(Adnkronos) – “Durante l’anno lavoriamo con colleghi ucraini che adesso sono scappati anche loro dalla guerra, dalla casa, dagli affetti, dalle loro radici. Hanno lasciato i familiari che non sono voluti andare con loro per tanti motivi e sono diventati giocoforza nostri pazienti anche loro, e fa molto effetto doverli vedere passare ‘dall’altra parte’ come pazienti. Ci raccontano quello che sentono e quello che vedono, e in loro c’è una forte dignità”. A raccontarlo all’Adnkronos è Cristina Falconi, capo missione italiano di Medici Senza Frontiere in Ucraina che descrive, nel racconto dei medici italiani in missione, un mondo quotidiano ricco di aneddoti e di intense emozioni.
“Ieri ho visto una coppia di persone anziane, lui prima era un medico di base -racconta il capo missione- Quando siamo entrati nella stanza quasi ci hanno accolto come se fossimo andati a trovare una persona cara. Ci hanno ringraziato. Abbiamo chiesto se avevano bisogno di qualcosa, ci hanno risposto commossi: ci basta che ci siate e che ci ascoltiate”.
Medici Senza Frontiere, che è presente da diversi anni sul territorio ucraino, era “già presente nel Donbass dal 2014 ad oggi -spiega la Falconi, che si trova al confine fra Ucraina e Ungheria, nei Carpazi- Oggi per effetto di questo ampliamento del conflitto, che poi si è tradotto in una vera guerra, stiamo lavorando in modo spasmodico, sia intorno al paese per sostegno ai profughi ma soprattutto all’interno, dove i sono tante persone che hanno deciso di non oltrepassare il confine e sono sfollati”.
Le criticità “sono soprattutto il materiale tecnico e i medicinali -sottolinea il capo di Msf all’Adnkronos- La guerra non distrugge solo gli ospedali ma l’approvvigionamento, soprattutto per chi soffre di malattie croniche, che poi sono le patologie principali che stiamo riscontrando. Tra le più gravi, che hanno bisogno di cure ininterrotte diabete, ipertensione, patologie cardiovascolari”. Finora è stata messa in piedi “una linea di approvvigionamento, da Bordeaux a Bruxelles, e il materiale è stato trasportato con grosse difficoltà perché i movimenti verso le zone maggiormente colpite, l’est e il nord della nazione, sono molto complicati”.
I medici lavorano organizzando “delle cliniche mobili, per cercare di garantire continuità nella cura delle patologie”. Tra quelle più diffuse, prima della guerra si riscontravano nel Paese “soprattutto problemi legati alla tubercolosi, Hiv ed epatite C”. Ora, come è facile prevedere, “sono aumentati a dismisura i disturbi a livello di salute mentale. Cerchiamo di dare suggerimenti tecnici su come gestire lo stress e l’ansia, un’ansia che non finisce più perché riguarda anche i parenti e il futuro, al momento del tutto ignoto”, conclude la Falconi.
(di Ilaria Floris)