Siamo a quasi due mesi dall’inizio dell’invasione e l’Ucraina resiste, nonostante il duro colpo inferto da Putin. L’attacco dai tre fronti possibili e poi la riconversione, unico obiettivo la parte sud-est. Ottenere il Donbass, farsi riconoscere la Crimea e, se possibile, riuscire a completare il controllo sulla costa meridionale e impedire all’Ucraina di crescere con la propria economia: non più Via della Seta con la Cina, non più il turismo su Odessa e le famose coste sul litorale del Mar Nero. Addio acciaierie del Donbass. Unica possibilità: industria e agricoltura, come nel passato. Non siamo, però, in quel momento storico e vivere senza il terziario, in una situazione di confine, non premia.
Nessuno stato cuscinetto si è mai arricchito o ha mai ottenuto una posizione geostrategica che non sia di subordinazione alle grandi potenze che lo circondano. Un vulnus che rischia di imprimere una via obbligata per i governi futuri e respingere l’ideale di un paese libero, fuori dalle logiche imperialiste.
Putin inizia il suo momento più complesso. Lo si riconosce dai movimenti, dalla postura, dalla comunicazione non verbale, dalla prossemica, dalla posizione della mano, da come si siede. Manca tutto ciò che si richiede a un leader: la posizione vigile, la postura sicura, la convinzione del sostegno data da uno sguardo forte, presente. Sono i giorni della ridefinizione, non solamente dei piani militari in senso stretto, ma di tutto ciò che concerne la guerra in senso ampio. L’Occidente esprime le proprie crepe e il leader russo è pronto a giocarsi il tutto per tutto. Alcuni (e forse la maggioranza degli) oligarchi, probabilmente, ancora lo appoggiano. Ma Putin teme di non riuscire nell’impresa, se non ottiene l’aiuto degli alleati orientali e perde terreno anche negli incontri bilaterali con i paesi storicamente vicini o economicamente dipendenti.
I negoziati di pace sono praticamente fermi. Macron ha smesso di incontrare Putin e Zelensky, mentre l’idea della tregua della Pasqua ortodossa si è dimostrata la solita utopia irrealizzabile. Questo è il momento dello stallo internazionale. Se la Germania non accetterà un embargo almeno sul petrolio russo, la situazione non finirà mai. È una partita a scacchi, tutto si gioca in questi giorni, che possono diventare settimane o mesi. Lo sappiamo dal 1939, settembre, Hitler si prende Danzica, poi stallo, per l’intervento degli altri paesi del mondo ci vorrà qualche mese. È questione di tempo? La situazione è ben diversa ma ha qualcosa di simile nei tratti e può essere un paragone, anche se sempre da prendere con le pinze.
Intanto, lo scontro si fa pesante. Le parole andrebbero pesate, ma qualcuno in Occidente sembra avere la lingua belligerante, lontana, si spera, dall’attaccare, ma pronta ad infuocare ogni potenziale. È Joe Biden, presidente degli Stati Uniti, che dà del macellaio, del killer e del dittatore a Putin o che identifica come genocidio l’uccisione degli ucraini. È un dato di fatto, potremmo dire, ma per la diplomazia le parole sono più importanti di qualsiasi altra cosa e la Cina, che è sempre in bilico tra approvare e disapprovare Mosca, attacca la presidenza americana. Non è così che si spinge verso la pace. Non lo si fa neppure con l’aumento delle spese militari che viene approvato in Italia e in tutta Europa, ma potremmo dire in tutto il mondo.
Avessero voluto la pace, sarebbe già stato possibile ottenere colloqui bilaterali. Pechino e Washington sono ben lungi dal creare uno spazio aperto alla discussione e al confronto. La situazione non è confortante. Tutto sta prendendo una piega che non è quella sperata. Attendere il 9 maggio, vittoria dei russi sui nazisti, per definire compiuta la missione ucraina sembra un’utopia irrealizzabile come la tregua della Pasqua ortodossa.
Per ultime, ma non in ordine di importanza, le elezioni francesi, che non sono da prendere sottogamba. Giocarsi il tutto per tutto dicendo che sicuramente vincerà Macron è più da speranzosi ingenui che altro. Probabilmente vincerà il presidente uscente, se così non fosse potrebbe essere l’inizio di un’altra partita senza possibilità di previsioni che porterebbe incertezza, inflazione e maggiori difficoltà in potere di acquisto, come minimo. Sempre che l’Europa non si spacchi e che lo status quo non venga completamente stravolto. In quel caso l’Europa si troverebbe nuovamente una guerra in casa e la Cina potrebbe approfittare della situazione per prendersi Taiwan, riportando le lancette del tempo indietro di qualche decennio.