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Guerra in Ucraina. L’escalation internazionale continua

Lorenzo Ottanelli
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Dichiarazioni per la pace da parte della Cina. Dichiarazioni belligeranti da parte di Biden e Johnson, Usa e Regno Unito. Dichiarazioni altalenanti, che spiazzano e rimescolano le carte in tavola. Non ci sono le possibilità, oggi, per un negoziato reale.

Zelensky ha tutte le ragioni del mondo di chiedere maggiori armi, un aiuto militare in più. Ed è giusto così, perché da solo non può contrastare l’armata russa e respingerla oltreconfine. Il presidente ucraino vorrà sedersi al tavolo dei negoziati per poter decidere cosa cedere del proprio territorio e spera il meno possibile. Non può, tuttavia, dirlo adesso ai propri cittadini, che pure sono consapevoli che qualcosa dovrà essere lasciato a Mosca.

Fronte 1 – Il Pacifico

La Cina si muove su due fronti: stabilizza il mercato con dichiarazioni sui negoziati e poi tratta con le Isole Salomone, vicino all’Australia, per una base militare cinese sul proprio territorio. Una sfida agli Stati Uniti e ai suoi alleati oltreoceano, che rispondono alla gravità sull’accaduto e denunciano un’escalation diplomatica.

Taiwan potrebbe essere considerata l’Ucraina cinese e le Isole Matsu, vicine al continente, territorio che fa parte della giurisdizione di Tapei, potrebbero essere il nuovo Donbass. Taiwan è indipendente dal 1600, ma la Cina la rivendica da sempre e l’isola è riconosciuta indipendente solo da 13 dei 193 Stati appartenenti all’Onu. Tuttavia, gli Stati Uniti stanno da tempo rivendicando l’indipendenza di Tapei e condannando ogni incursione cinese nel territorio dell’Isola.

Nell’Oceano pacifico, poi, le controversie tra Giappone e Cina e Giappone e Russia sono ancora forti. Alcune isole sono contese tra i paesi e il Giappone chiede di poter ottenere nuovamente l’atomica come deterrente.

Fronte 2 – Europa

Intanto, nell’Europa geografica abbiamo alcuni paesi vicini alla Russia e che rivendicano propri territori, ormai stati acclarati e riconosciuti nel mondo. Per lungo tempo ci siamo dimenticati dei balcani e delle guerre dell’ex Jugoslavia. Il Kosovo ha chiesto di entrare nella Nato perché si sente minacciata dalla Serbia, che non nasconde il fascino verso Putin e rivendica la propria sovranità sul territorio.

Fronte 3 – Asia e Africa

Tutto ciò è solo parte di un insieme che potrebbe contenere la totalità dei rapporti di forza tra stati e di territori contesi da più parti in Africa e in tutto il continente asiatico, di cui ricordiamo fanno parte l’Afghanistan, l’Iraq, l’Iran, la Siria e lo Yemen, ma anche Israele e Palestina.

Inutile considerare finita ogni prospettiva di guerra. Le possibilità oggi sono più alte di sempre e la ricaduta verso un potenziale conflitto atomico che spaventa non è così improbabile.

Se Johnson e Biden non smettono di fare la voce grossa e non si attivano per negoziati seri, di pace, con la Cina sarà tutto finito e basteranno poche settimane per far traboccare la goccia dal vaso.

L’unica salvezza è il Congresso cinese. Xi Jinping vuole essere rieletto e farà di tutto affinché la crescita del paese non si fermi, ora che è in ribasso rispetto ai decenni scorsi. Se dovesse scoppiare la guerra la Cina perderebbe buona parte del mercato europeo e questo la condurrebbe verso una forte depressione. Tuttavia, Pechino ha ottenuto diverse conquiste coloniali nel mondo e oggi può vantare una forza economica tentacolare in Oriente, Africa e Sud America.

Basterà questo a condurla verso il conflitto armato? Tutto è in forse. La Francia, che fino a ieri era la più convinta verso i negoziati, oggi non parla, costretta alle logiche elettorali. Se tutto dovesse finire in guerra sarebbe la fine della pace come l’abbiamo sognata per anni. E il confronto tra il nostro tempo e la Belle Epoque sarebbe più vivo che mai.