Ora la parola d’ordine nel centrodestra è far decantare la situazione. Sarà un weekend di riflessione dopo lo ‘strappo azzurro’ sull’elezione di Ignazio La Russa alla presidenza del Senato e lo scontro Fi-Fdi sugli ‘appunti del Cav’. Allo stato non è previsto nessun incontro tra Giorgia Meloni (oggi a casa con la famiglia) e Silvio Berlusconi, volato ieri sera ad Arcore per il fine settimana. La parola spetta, dunque, ai pontieri al lavoro in queste 48 ore per il disgelo. Anche se la mancata partecipazione al voto di Fi a palazzo Madama senza rispondere alla chiama e deporre la scheda bianca, dalle parti di Via della Scrofa è stata considerata da alcuni una ‘ritorsione’ per l’esclusione dal Cdm della fedelissima del Cav, Licia Ronzulli, da altri un tradimento se non un vero e proprio affronto.
Ora si tratterà di capire quale sarà il punto di caduta per riallacciare un confronto interrotto bruscamente. Il capogruppo uscente di Fdi a palazzo Madama Luca Ciriani mette in guardia l’alleato: ”Al Senato i numeri ci sono, anche se non larghissimi purché si resti tutti uniti, ma se qualcuno della coalizione si sfilasse, si assumerebbe una enorme responsabilità innanzitutto verso gli elettori”. Non a caso, il richiamo al senso di responsabilità, è anche nelle parole che la Meloni oggi ha utilizzato in tutt’altra occasione: per condannare le minacce a La Russa con la comparsa della stella a 5 punte nella sede di Fdi alla Garbatella: ”Spero che il senso di responsabilità della politica prevalga sull’odio ideologico, perché l’Italia e gli italiani devono tornare a correre, insieme”.
Raccontano che la leader di via della Scrofa, una volta chiusa la partita delle presidenze di Camera e Senato, sia più che mai determinata ad andare avanti per la sua strada perché gli italiani non capirebbero rallentamenti o ‘stop and go’ dovuti a veti incrociati e giochi di palazzo. Per lei quel che conta è la lealtà e ancora una volta la competenza, criterio principe, per la scelta dei futuri ministri.
‘Paletti’ irrinunciabili, che gli azzurri dovranno accettare. Altrimenti, ne sono convinti tanti tra le fila di Fdi, c’è l’eventualità che Giorgia vada avanti anche da sola, giocando di sponda con la Lega, che ha già incassato la presidenza della Camera (con Lorenzo Fontana) e blindato il superministero dell’Economia, con Giancarlo Giorgetti. C’è chi scommette, infatti, che una volta ottenuto l’incarico, se Fi dovesse andare alle calende greche, Meloni tirerebbe dritto, con il rischio concreto che Berlusconi si ritrovi delle ‘sorprese’ nella lista dei ministri, come accaduto per la formazione del governo Draghi, quando rimasero out big come Antonio Tajani e Annamaria Bernini.
Nel partito dei meloniani regnano sentimenti contrastanti. Da una parte c’è fiducia per la ripresa del dialogo con gli azzurri, ma non manca chi vede la situazione piuttosto compromessa: “Difficile si riesca a ricucire”, sospira un eletto off the records, “di questo passo occorrerà trovare un’alternativa a Fi…”. Alla domanda poi se il centrodestra si presenterà unito alle consultazioni al Quirinale, Ciriani risponde: “Bisogna chiederlo a Forza Italia, non capisco perché non dovremmo”. Il governatore calabrese, Roberto Occhiuto, confida in una ricucitura dei rapporti: ”Sono convinto che si risolverà tutto tra Berlusconi e Meloni: è stato come un ceffone dato dal padre al figlio…”. Stessa scommessa che fa anche il leader della Lega, Matteo Salvini: “Tra Giorgia e Silvio tornerà l’armonia”.
Tutto, comunque, è rinviato a lunedì. Intanto il totonomi non si ferma. Secondo gli ultimi boatos, tra gli azzurri papabili per l’upgrade governativo, resterebbero fuori i ‘ronzulliani’ e ci sarebbero Tajani (sempre in pole per la Farnesina), Bernini (Università o Politiche europee), Gilberto Pichetto Fratin (parlamentare considerato vicino alla Bernini e gradito al numero due azzurro), l’ex presidente del Senato, Elisabetta Alberti Casellati (Giustizia) e Maurizio Gasparri (Pubblica amministrazione). Da ambienti di Fdi si esclude una ritorsione verso i senatori azzurri che non hanno votato La Russa. Sarebbe controproducente, ragionano, perché una fatwa farebbe venire meno i voti per la maggioranza a palazzo Madama.