(Adnkronos) – L’ultimo indice di digitalizzazione dell’economia e della società (Desi) ha fatto emergere un piccolo balzo in avanti per l’Italia che si colloca al 18° posto su 27 in Europa, guadagnando due posizioni rispetto all’anno precedente. La Commissione europea ha ricondotto, nella sua analisi, questo avanzamento a una maggiore attenzione politica posta alle questioni digitali e in particolare “all’istituzionale di un ministero per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale”. Dicastero, quest’ultimo, che non ha però trovato spazio nella nuova formazione stabilita dal nuovo Governo. L’entità di questo passo avanti appare come una magra consolazione se si pensa che quella italiana è la terza economia UE e che anche la fotografia scattata da Bruxelles ha confermato la persistenza di alcune gravi carenze già emerse nei report precedenti. In tema di transizione al digitale, più che gli strumenti, il nostro tallone d’Achille sembrano essere ancora, soprattutto, le competenze. La percentuale di cittadini italiani che non dispone neppure di competenze digitali di base resta al di sopra del 50%. E’ questo il quadro tratteggiato da Csel, il Centro Studi Enti Locali, in un rapporto elaborato per l’Adnkronos.
Sono stati registrati passi avanti relativi alla diffusione dei servizi a banda larga e di realizzazione della rete ma la copertura delle reti ad altissima capacità è ancora molto al di sotto della media europea. La maggior parte delle piccole e medie imprese italiane (il 60%) ha raggiunto almeno un livello base di intensità digitale ed è stato osservato un aumento del ricorso ai servizi cloud.
Come noto, sottolinea Csel, quella della digitalizzazione, anche con riferimento al mondo pubblico, è uno degli assi portanti del PNRR e del PNC che a questo scopo hanno stanziato copiosi finanziamenti: la missione “Digitalizzazione, Innovazione, Competitività, Cultura” vale infatti 49,2 miliardi.
Ma che ruolo sta giocando la pubblica amministrazione in questa partita? Ci sono stati numerosi passi avanti registrati in vari ambiti: si pensi all’ingresso di tutti i comuni italiani nell’Anagrafe nazionale della popolazione residente o alla diffusione sempre più capillare di strumenti come lo Spid, di cui sono oggi in possesso ben 32,8 milioni di cittadini. Ciò nonostante, l’Italia ha perso una posizione nella graduatoria relativa ai servizi pubblici digitali ed è passata dal 18esimo al 19esimo posto tra i paesi europei, trainata verso il basso – ancora una volta – dallo scarso utilizzo che i cittadini fanno di questi servizi messi a loro disposizione. Solo 4 italiani su 10 sono “utenti e-government” contro una media europea di 6,5. Un anno fa, questa percentuale era ancora più bassa e si era fermata al 36%.
L’offerta di servizi pubblici digitali disponibili in Italia è leggermente al di sotto della media europea ma la differenza non è marcata come quella relativa all’utilizzo degli stessi. Il punteggio italiano è 67 a fronte di una media di 75 per quanto riguarda i servizi destinati ai cittadini, e pari a 79 (contro una media UE di 82) per quanto concerne i servizi a disposizione delle imprese. “L’Italia – evidenzia la Commissione europea – ottiene risultati migliori rispetto all’UE per quanto riguarda le politiche in materia di dati aperti raggiungendo un punteggio del 92 %, collocandosi tuttavia ancora al di sotto della media UE per quanto riguarda la disponibilità di moduli precompilati, che presentano agli utenti dati già noti alle amministrazioni pubbliche”.