Non sempre i dati recepiscono con rapidità le conseguenze delle misure di politica economica. Nel caso del Superbonus, e più in generale della contabilità dei crediti d’imposta legati ai bonus edilizi, i numeri forniti dell’Istat sono una sentenza definitiva: la misura introdotta dal secondo governo Conte spinge il Pil ma sfascia i conti pubblici.
E’ stato detto e scritto più volte ma da oggi c’è anche una certificazione quantitativa che ribadisce e puntualizza le dimensioni del problema legato al Superbonus. Il beneficio c’è stato, e si vede. Con il Pil 2022 che sale del 3,7%, si evidenzia che il valore aggiunto ha registrato aumenti in volume del 10,2% nelle costruzioni. Quanto è costato però questo beneficio? Tanto. Nel 2022 il rapporto deficit/Pil italiano è stato pari a -8,0%, a fronte di un deficit che nel 2021 era stato del 9,0%. Il dato sul deficit per gli anni 2020 e 2021 è stato rivisto a seguito del cambiamento introdotto nel trattamento contabile dei crediti di imposta, ovvero proprio per il computo dell’impatto del Superbonus. Di qui, una revisione peggiorativa rispettivamente di -0,2 punti per il 2020 e di -1,8 punti percentuali per il 2021. Il nuovo calcolo porta così il deficit 2020 al 9,7% del Pil (dal 9,5% stimato a settembre scorso) e quello 2021 al 9,0% (dal 7,2% stimato a settembre).
La decisione del governo Meloni di fermare la macchina del Superbonus, che poi era la stessa strada indicata anche dal governo Draghi, è stata spiegata proprio legando il prezzo, troppo alto, al beneficio, evidentemente non sufficiente a giustificare le conseguenze pericolose per la gestione dei conti pubblici. Oggi, questa impostazione trova conforto nei numeri. “La correzione delle norme sui bonus edilizi è stato l’indispensabile presupposto a tutela dei conti pubblici per il 2023, invertendo una tendenza negativa certificata oggi dall’Istat”, ha evidenziato il Mef.
Restano però tutti i problemi legati allo smaltimento della lunga coda che una misura come il Superbonus si trascina dietro. Il governo, ha aggiunto il Tesoro, “è al lavoro con tutti i soggetti interessati per risolvere il grave problema di liquidità finanziaria delle imprese ereditato da imprudenti misure di cessione del credito non adeguatamente valutate nei loro impatti al momento della loro introduzione”.
L’interpretazione degli stessi dati offerta dal leader dei Cinquestelle Giuseppe Conte è diametralmente opposta. “È stata solo becera propaganda del Governo e della maggioranza. Non c’è nessun buco di bilancio, nessuna bolla, nessun debito aggiuntivo. Anzi, è vero l’esatto contrario: grazie alle politiche espansive che abbiamo messo in campo nel 2020, tra cui il Superbonus e la cessione dei crediti d’imposta, il Pil 2021 risulta cresciuto addirittura del 7% e il debito pubblico sta diminuendo più velocemente del previsto, proprio grazie alla crescita del Pil. Ce lo dice oggi l’Istat, spazzando via le falsità messe in circolo in questi giorni”.
Ora, premesso che a scendere è il rapporto tra debito e pil, perché la matematica dice che se il denominatore cresce si riduce il rapporto, il problema reale è il deficit e si torna al tema posto da un altro rapporto, quello tra costi e benefici. Un’analisi di Oxford Economics aiuta a capire perché. “Questo tipo di misure su larga scala introdotte durante la pandemia dal governo Conte II senza un attento esame avrebbero potuto intaccare la già fragile sostenibilità fiscale e la credibilità dell’Italia”. Questo, considerando anche che “le future decisioni di bilancio dovranno essere prese con maggiore attenzione, in particolare in vista del probabile ripristino delle regole di bilancio dell’Ue il prossimo anno”.
Un conto è muoversi senza sostanzialmente dover rispettare i vincoli di bilancio, come avvenuto negli anni della pandemia, un altro è doversi preoccupare di sostenere la crescita senza esporsi alle ritorsioni di Bruxelles e, soprattutto, a quelle dei mercati. (di Fabio Insenga)