(Adnkronos) – “La proposta di sanzionare l’uso delle parole straniere per legge, con tanto di multa, come se si fosse passati col semaforo rosso, rischia di vanificare e marginalizzare il lavoro che noi, come Crusca, conduciamo da anni allo scopo di difendere l’italiano dagli eccessi della più grossolana esterofilia, purtroppo molto frequente”. Così il professore Claudio Marazzini, presidente dell’Accademia della Crusca, reagisce, intervistato dall’Adnkronos, alla proposta di legge, presentata da Fratelli d’Italia, che vede come primo firmatario il deputato Fabio Rampelli, che ipotizza multe da 5.000 a 100.000 euro per chi non utilizza la lingua italiana nella fruizione di beni e di servizi, nell’informazione e nella comunicazione, nelle attività scolastiche e universitarie, nonché nei rapporti di lavoro e nelle strutture organizzative degli enti pubblici e privati. La proposta di legge che reca “Disposizioni per la tutela e la promozione della lingua italiana” prevede anche l’istituzione del Comitato per la tutela, la promozione e la valorizzazione della lingua italiana.
“L’eccesso sanzionatorio esibito nella proposta di legge rischia di gettare nel ridicolo tutto il fronte degli amanti dell’italiano – commenta il presidente Claudio Marazzini, alla guida della secolare istituzione fiorentina incaricata di custodire il ‘tesoro’ dell’italiano – Un intervento poteva essere eventualmente concordato con chi da anni, come noi, si occupa del problema. Ora, ahimè, in questa polemica, troveranno spazio anche maggiore tutti quelli che, con la scusa del fascismo e del nazionalismo, ostacolano ogni tentativo di realizzare un’equilibrata convivenza tra le esigenze di internazionalizzazione e la pur legittima attenzione alla lingua nazionale, sovente calpestata ed estromessa senza motivo. Ora urleranno: ecco, avevamo ragione noi!”.
Quanto al Comitato o Consiglio superiore della lingua italiana, ricorda il presidente dell’Accademia della Crusca, è “un’idea vecchia, già discussa e abbandonata nel 2004”.
“Comunque, più che le multe, servirebbe innanzitutto usare buon senso, e applicare le norme che già ci sono – argomenta Marazzini – Basterebbe un po’ di autocontrollo da parte degli enti pubblici e dei ministeri (che, mi pare, per ora nulla hanno fatto) per evitare le stupidaggini come il ‘booster’ delle vaccinazioni Covid al posto di ‘richiamo’, o l’incredibile selva di anglismi del ‘Piano scuola 4.0’. Non la fantasia di leggi nuove, insomma, ma un preciso indirizzo dato dai ministeri competenti, con semplici circolari”.
E per l’università, che “effettivamente in troppe occasioni ama cacciare via l’italiano”, ammonisce Marazzini, “basterebbe, per portare un po’ d’ordine, applicare la sentenza 42/2017 della Corte Costituzionale, chiarissima e disattesa. Basti pensare che quella sentenza n. 42 porta, tra i giudici che l’hanno emessa, il nome prestigioso di un giurista come Paolo Grossi”. Insomma, ‘le leggi son, ma chi pon mano ad esse?’. Altro che farne altre, nello stile delle gride manzoniane!”.
Anche per la linguista Valeria Della Valle cercare di imporre con la legge l’uso dell’italiano nella “fruizione di beni e di servizi, nell’informazione e nella comunicazione”, così come ipotizzato dalla proposta di legge presentata da Fratelli d’Italia, è una scelta che “non premia, non ottiene risultati”. Intervistata dall’AdnKronos, Della Valle afferma: “Le multe per le parole straniere hanno un passato che non vorrei più rivivere, risentire quindi qualcosa del genere è assurdo”.
“La lingua – argomenta la studiosa – non può essere imposta attraverso decreti legge. C’è un precedente storico che basterebbe da solo a fare vedere che quando in materia linguistica si impone qualcosa con la legge non si ottiene alcun risultato. Dopo il Fascismo, come abbiamo visto, le parole suggerite da sostituire a quelle straniere, tranne pochi casi, tra cui ‘regista’ e ‘autista’, non hanno avuto alcun successo. L’imposizione in materia linguistica non vince, non premia, non ottiene risultati. Vorrei capire se chi ha fatto questa proposta l’ha fatta per totale ignoranza di cosa è successo durante il regime oppure proprio perché rimpiange quello che veniva fatto allora. Propenderei per la seconda ma forse si unisce anche l’ignoranza”.
Detto questo, conclude Valeria Della Valle, “nell’ambito dell’Accademia della Crusca abbiamo un gruppo che si chiama ‘Incipit’. Ogni volta che qualche termine straniero compare nel linguaggio delle Istituzioni ne suggerisce la sostituzione che a volte viene eseguita e altre no. Ad esempio è entrato nell’uso corrente l’espressione ‘lavoro agile’ al posto di ‘smart working’. Ma tutto questo senza alcun tipo di imposizione né tanto meno di legge”.