(Adnkronos) – (di Elvira Terranova) – Il depistaggio sulla strage di Via D’Amelio “nasce in alto” e i due poliziotti le cui posizioni sono state prescritte nella sentenza “erano solo due anelli deboli”. A dirlo all’Adnkronos è l’avvocata Rosalba Di Gregorio, legale di parte civile di alcuni degli innocenti accusati ingiustamente da Scarantino della strage di via D’Amelio, che hanno scontato anche 15 anni in carcere al 41 bis. Sono sette in tutto gli innocenti condannati ingiustamente per l’attentato al giudice Borsellino. Si tratta di Salvatore Profeta, Gaetano Scotto, Cosimo Vernengo, Natale Gambino, Giuseppe La Mattina, Gaetano Murana e Giuseppe Urso. Lo scorso 12 luglio il tribunale di Caltanissetta aveva dichiarato prescritte le accuse contestate a Mario Bo e Fabrizio Mattei, due dei tre poliziotti accusati di avere depistato le indagini sulla strage di via D’Amelio costata la vita al giudice Paolo Borsellino e agli agenti della scorta. Assolto il terzo imputato, Michele Ribaudo. Erano imputati di calunnia aggravata dall’avere favorito la mafia. Il venire meno dell’aggravante ha determinato la prescrizione del reato di calunnia.
I tre erano accusati di aver costruito, anche attraverso falsi pentiti, un castello di menzogne sull’eccidio costato la vita al giudice Paolo Borsellino e alla sua scorta. Secondo l’avvocata Di Gregorio “ci sono tanti di quei buchi, cercassero di capire adesso come è successo. Se non si guarda il livello di Polizia infiltrata nella strage, di buchi ne restano tanti. Dalla sentenza emerge motivata la responsabilità di questi soggetti imputati. Ora tocca alla Procura di De Luca sanare i buchi con gli elementi che, peraltro, agli atti ci sono”.
Il falso pentito Vincenzo Scarantino, che nella sentenza viene bollato come “mentitore professionista”, “ogni volta che ha potuto ritrattare lo ha fatto, l’unica cosa su cui non ha mai ritrattato nulla è l’accusa ai poliziotti imputati nel processo depistaggio Borsellino”, dice la legale. Secondo l’avvocata Di Gregorio, “l’aggravante deve essere rivalutata”. E ricorda alcuni passi delle motivazioni della sentenza depositata pochi giorni fa dai giudici del Tribunale di Caltanissetta. Oltre 1.400 pagine in cui spiegano i motivi della sentenza emessa nove mesi fa. “A fronte di tutto il percorso che i giudici hanno descritto nella sentenza – spiega la legale di parte civile – parlando delle connivenze istituzionali, facendo anche nomi e cognomi, a partire dal Prefetto Luigi Rossi”, che viene più volte citato nelle motivazioni. “I protagonisti di livello apicale di quella stagione, ove non deceduti non hanno fornito alcun elemento utile alla ricostruzione dei fatti e si sono potuti trincerare, talvolta con malcelata stizza, dietro l’età avanzata e il tempo lungamente decorso”, scrivono i giudici.
E sull’ex vicecapo della Polizia Rossi dicono: “Ha riferito circostanze non pienamente corrispondenti alla realtà in ordine a pregresse competenze specifiche del dottor La Barbera ha riferito di non avere saputo della collaborazione del Sisde, di non avere ricordi in ordine alla formazione dei gruppi di lavoro che si occupavano delle stragi”. “Risposte preconfezionate”, secondo i giudici, “in concreto poco credibili”. “I giudici parlano di una ‘copertura alta’ che individuano in soggetti istituzionali, con ulteriori anelli di riferimento”, spiega l’avvocata Di Gregorio. E ricorsa anche la frase dei giudici sulla “amnesia collettiva” di alcuni esponenti delle istituzioni nel processo. “Non è indice di estraneità dei fatti, tanto è vero che mandano gli atti in Procura”. Il riferimento è ai quattro poliziotti che ora rischiano di finire a processo per falsa testimonianza.
“Il problema non è l’ex capo della Mobile Arnaldo La Barbera”, dice. “Non è lui l’ideatore del depistaggio, lui può essere che lo metta in atto come anello della catena” e ricorda le dichiarazioni rese dall’ex poliziotto Gioacchino Genchi durante il processo. “Lo esclude che La Barbera abbia agito per motivi di carriera. E che Roma centri lo sappiamo, così come sappiamo che il gruppo investigativo ‘Falcone e Borsellino’ è stato fatto apposta…”. La legale, che ha seguito tutti i processi sulle stragi, a partire dal ‘Borsellino uno’, e che conosce tutti gli atti, ricorda ancora l’episodio in cui la “Polizia di Palermo avverte il Sisde il 13 agosto del 1992 – dice – c’è una informativa di Ruggeri, che poi in aula non ricorda neppure la sua firma. Nella informativa scrive: ‘Abbiamo appreso che sono in possesso di elementi’, insomma il copione che poi faranno recitare ai collaboratori Candura e Scarantino. Evidentemente, la Polizia queste notizie le avrà apprese da una fonte che ha compiuto la strage…”.
E l’avvocata Di Gregorio ricorda anche un lancio di agenzia di “un’ora dopo la strage quando i giornalisti scrissero che a scoppiare era stata una 126 o comunque una auto di piccole dimensioni. Lo avranno appreso da una fonte di Polizia, come faceva a sapere la Polizia che era una 126, dal momento che era impossibile capirlo pochi istanti dopo l’esplosione?”. Pone anche altre domande, l’avvocata: “Perché nonostante Franca Castellese, la moglie del collaboratore Mario Santo Di Matteo in una conversazione intercettata tra la coppia parla di polizia ‘infiltrata’ nella strage, poi verrà sentita dai magistrati insieme con i poliziotti? La stessa Polizia che con i suoi vertici si occupava di intercettazioni e che non voleva acquisire i tabulati”.
Ritiene, poi, parlando dell’agenda rossa di Borsellino che, secondo i giudici non sarebbe stata fatta sparire da Cosa nostra ma da “uomini delle istituzioni”, “noi lo abbiamo sempre detto”. “Sul piano dell’acquisizione probatoria l’unico passo avanti rispetto al Borsellino quater è che la strage è anche istituzionale. Questo lo dicono chiare convergenze di interessi. Questa affermazione in sentenza al quater non era stata fatta”.
Si pone altre domande, la legale: “Chi ha avvertito il commando degli spostamento del dottor Borsellino? Perché Salvatore Biondino dice ai suoi uomini di potere andare a mangiare perché il giudice avrebbe lasciato la sua abitazione solo dopo pranzo?”. “La telefonata alla madre di Borsellino era della sera prima, a quest punto è stato qualcuno che sapeva alla perfezione gli spostamenti di Borsellino, in tempo reale. Che a sua volta lo comunica a Biondino, che lo dirà alla staffetta della morte, rinviando tutto a dopo pranzo”.
E ancora: “Borsellino il 25 giugno, parlando alla Biblioteca comunale, dopo la strage Capaci, disse: ‘Io sono testimone di alcuni fatti che non posso dire qui perché li devo rassegnare alla Procura di Caltanissetta’, ma i magistrati nisseni non lo chiamarono mai. Evidentemente Borsellino si è reso conto di qualcosa, quindi viene eliminato perché testimone diretto”.
Insomma, secondo l’avvocata “ci sono tanti di quei buchi, cercassero di capire adesso come è successo”. E ribadisce il suo appello al Procuratore di Caltanissetta Salvatore De Luca: “Ora tocca a lui sanare quei buchi. Gli elementi ci sono agli atti…”.