(Adnkronos) – Kemal Kilicdaroglu, 74 anni, socialdemocratico, è l’uomo scelto dall’opposizione – non senza polemiche a dire la verità – per rivoluzionare la scena politica turca e mettere fine, nelle elezioni di domenica 14 maggio al ventennio al potere di Recep Tayyip Erdogan. Il leader del Partito Repubblicano del Popolo (Chp), la principale forza di opposizione in Turchia, è pronto a sfidare il Sultano e mai come stavolta, sondaggi alla mano, l’impresa sembra possibile.
Per farlo Kilicdaroglu ha messo su un cartello elettorale composto da ben sei partiti, non tutti convinti all’inizio di convergere sul suo nome per le presidenziali. Anzi, l’annuncio della sua possibile candidatura aveva spaccato l’opposizione con l’uscita dal blocco del Buon Partito (Iyi), la seconda forza dopo il Chp, la cui leader Meral Aksener preferiva quella del sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu, o in alternativa di quello di Ankara, Mansur Yavas. Il compromesso che ha salvato l’apparente unità dell’opposizione è che, in caso di vittoria, i due sindaci saranno i vice di Kilicdaroglu.
Da tanti anni ai ferri corti con Erdogan, come testimoniano anche le cause in tribunale da cui è sempre uscito sconfitto, il leader del Chp dal 2010 non ha grandi successi elettorali da opporre al Sultano nella sua carriera politica. Eletto deputato per la prima volta nel 2002, Kilicadorglu venne sconfitto alle elezioni amministrative di Istanbul nel 2009. Ciò nonostante l’anno successivo fu eletto con un plebiscito alla guida del Chp.
Le elezioni del 2011 furono relativamente positive, in quanto il partito – seppur quasi doppiato dall’Akp di Erdogan – segnò un aumento dei consensi arrivando al 26%. Un risultato pressoché analogo lo raggiunse nel 2015, mentre alle elezioni del 2018 il candidato del Chp, Muharrem Ince (quest’anno in lizza per la presidenza con il Partito della Patria), superò di poco il 30%. Nel 2016 uscì illeso dopo che l’auto su cui viaggiava nella provincia di Artvin, sul Mar Nero, era finita nel mezzo di uno scontro tra uomini armati e militari. Nello scontro, secondo il quotidiano Sabah, persero la vita due soldati. Un suo consigliere spiegò che non si era trattato di un attacco contro di lui.
Nel 2017 fece di nuovo parlare di sé i media internazionali mettendosi alla guida di una marcia pacifica da Ankara a Istanbul per chiedere una riforma del sistema giudiziario. A scatenare la protesta di Kilicdaroglu fu la condanna a 25 anni di carcere del giornalista e parlamentare del Chp, Enis Berberoglu, accusato di spionaggio e di avere fornito al quotidiano Cumhuriyet informazioni per uno scoop che mise in cattiva luce il governo. La marcia si concluse ad Istanbul con un grande comizio davanti a una folla oceanica.
In caso di vittoria, ha promesso ripetendolo come un mantra nei vari appuntamenti che hanno scandito la sua campagna elettorale, governerà la Turchia in modo più democratico rispetto a quanto ha fatto Erdogan. “Libererò il Paese da una leadership autoritaria”, ha spiegato in una intervista ai media tedeschi in cui ha confermato di voler rispettare pienamente ”tutti gli standard democratici dell’Unione europea”.
Uno dei momenti clou della sua campagna è stato sicuramente quando, rompendo un tabù, ha rivelato di essere di fede alevita. Questa minoranza, che osserva riti e regole diverse rispetto a quelli dell’Islam tradizionale, in Turchia è stata vittima di discriminazioni e massacri. Alcuni sunniti estremisti considerano ancora oggi gli aleviti come degli eretici e si rifiutano addirittura di mangiare un piatto cucinato da loro ritenendolo “impuro”. Se dovesse essere eletto, Kilicdaroglu ha promesso di mettere fine alle discriminazioni e a “contenziosi confessionali che hanno causato sofferenze”.
Dalla sua, ne è convinto, ha anche il sostegno dei giovani che “vogliono la democrazia e non vogliono che la polizia si presenti alle loro porte la mattina presto solo perché hanno twittato”, ha detto di recente alla Bbc. Attualmente, infatti, i turchi possono andare in prigione per “aver insultato il presidente”. In politica estera il suo obiettivo è spostare il focus di Ankara dando priorità alle relazioni con l’Occidente piuttosto che al Cremlino. “Vogliamo entrare a far parte del mondo civilizzato – ha spiegato – Vogliamo media liberi e una magistratura totalmente indipendente. Erdogan non la pensa così. Vuole essere autoritario. La differenza tra noi ed Erdogan è come tra il bianco ed il nero”.
Della sua campagna saranno ricordati gli spot girati intorno al tavolo della sua cucina, con sullo sfondo i canovacci appesi ordinatamente. In uno di questi video è apparso con una cipolla in mano, avvertendo che i prezzi continueranno a salire se Erdogan rimarrà al potere. “Ora, un chilo costa 30 lire. Se resta costerà 100 lire”.