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Come sta la lingua italiana? Ecco cosa dice la Crusca

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(Adnkronos) – “La lettura su Internet è oggi diventata predominante. E il nuovo mezzo ha avuto conseguenze anche per la nostra lingua: l’ha semplificata nelle strutture sintattiche (il che potrebbe anche essere un fatto positivo), ma l’ha anche un po’ impoverita, perché la fretta della composizione e l’assenza di rilettura porta spesso a usare frasi fatte, ad adoperare parole con un significato approssimativo, a non dominare appieno l’impianto testuale e informativo”. Lo afferma il professore Paolo D’Achille, nuovo presidente dell’Accademia della Crusca, in un’intervista al settimanale ‘Toscana Oggi’.  

Lo stato di salute della lingua italiana oggi è tuttavia “abbastanza buono”, osserva D’Achille: “L’italiano è ormai madrelingua per la maggior parte della popolazione (che in passato, invece, nasceva dialettofona), compresi i figli di immigrati ormai stabilizzati nel nostro Paese (i cosiddetti ‘nuovi italiani’). Abbastanza soddisfacente (anche in rapporto alle limitate risorse) lo studio dell’italiano all’estero. Però i dislivelli di competenze linguistiche presso i giovani aumentano, in rapporto alle diverse classi sociali e la scuola sta un po’ perdendo il suo ruolo di ‘ascensore sociale’, forse anche perché lo studio della lingua e della letteratura italiana non è più considerato centrale”.  

L’illustre storico della lingua avverte inoltre riguardo a un altro pericolo: “Si sta poi allargando la forbice tra la lingua di oggi e la lingua del passato, della tradizione letteraria che fa capo a Dante; è necessario un maggior dialogo intergenerazionale e bisogna che l’insegnamento/apprendimento della lingua (anche nelle sue strutture grammaticali) e della letteratura italiana, adeguatamente rinnovato, sia più gratificante per docenti e discenti”. 

Quanto all’eccesso di anglismi nella lingua italiana, il presidente dell’Accademia della Crusca osserva: “Le parole straniere entrano in un’altra lingua in rapporto al prestigio della lingua da cui provengono (si parla, impropriamente, di ‘prestiti’). Se l’inglese (o meglio l’angloamericano) è oggi dominante in tutto il mondo, ciò deriva dal fatto che i Paesi anglofoni sono all’avanguardia in certi settori (e certo la globalizzazione aiuta a diffondere tanto l’inglese in generale quanto gli anglismi), è normale che il numero degli anglismi cresca anche nella lingua comune”.  

D’Achille ritiene però “inaccettabile” che “ricorra spesso all’inglese anche la comunicazione degli enti pubblici (nazionali o regionali), che si rivolgono all’intera cittadinanza (composta di molte persone che non conoscono l’inglese). E poi ricorrere all’inglese quando abbiamo già le parole per esprimere gli stessi concetti mi pare inutile”.  

Infine sui neologismi sempre più frequenti, il presidente dell’Accademia della Crusca spiega: “Le neoformazioni costituiscono la maggior parte del lessico di ogni lingua e che si ricorra a neologismi per esprimere nuovi concetti e indicare nuovi oggetti è normale. Ci sono però parole ben formate (e quindi trasparenti anche a chi non le ha mai sentite prima) e parole mal formate (destinate per lo più a esaurirsi). Si parla ancora del caso di ‘petaloso’, risalente a vari anni fa: se quella parola non ha attecchito è perché, pur essendo ben formata, era inutile in quanto tutti i fiori, per definizione, hanno i petali, e li hanno solo loro”.