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Torri Gemelle / 22 anni fa l’attacco all’America

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20 anni 11 settembre

11 settembre 2001, sono trascorsi 22 anni dall’attacco all’America. Ventidue anni dagli attentati che hanno squassato gli Stati Uniti e scioccato il mondo. Le azioni terroristiche provocarono la morte di 2.977 persone. Le vittime a New York, colpita al cuore con l’attacco al World Trade Center, furono 2.753. Furono 184 quelle al Pentagono, 40 tra i passeggeri del volo 93. La più giovane tra i passeggeri dei voli dirottati dai terroristi fu Christine Hanson, che si era imbarcata a bordo del United Airlines Flight 175. Aveva due anni, stava andando per la prima volta a Disneyland. Il più anziano era Robert Norton. Si trovava a bordo dell’American Airlines Flight 11. Aveva 82 anni. Il dipartimento dei vigili del fuoco di New York perse 343 vigili, circa la metà delle vittime registrate dal personale in servizio in 100 anni di storia del dipartimento.

L’11 settembre 2001 è una data spartiacque che ha cambiato per sempre non solo la storia degli Stati Uniti, ma di tutto il mondo. Le immagini dello schianto degli aerei manovrati dai ‘piloti di al-Qaeda’ sulle Torri Gemelle e poi sul Pentagono rimarranno per sempre nella memoria di tutti coloro che quel giorno accesero la tv e vissero in diretta quei momenti irreali e allo stesso spaventosi. Film, documentari, serie tv e libri hanno analizzato in ogni dettaglio l’attacco sferrato ormai 20 anni fa da Osama Bin Laden al cuore dell’America. Un evento finito sui libri di storia di cui, tuttavia, basta conoscere alcune curiosità per comprenderne bene la portata.

Joe Biden non sarà a New York per la cerimonia per il 22esimo anniversario degli attentati dell’11 settembre. Il presidente Usa pronuncerà un discorso dalla una base militare di Elmendorf-Richardson in Alaska, dove farà tappa durante il viaggio di rientro dal Vietnam.

La commemorazione delle vittime degli attentati alle Torri Gemelle sarà presenziata dalla vice presidente Kamala Harris, mentre la first lady, Jill Biden, deporrà una corona di fiori al Pentagono. Non è la prima volta che un presidente non partecipa alle cerimonie di commemorazione in uno dei tre luoghi degli attacchi: nel 2015 Barack Obama partecipò ad una cerimonia alla Casa Bianca e poi pronunciò un discorso a Fort Meade per riconoscere il ruolo svolto dai militari nella difesa del Paese. E lo stesso George Bush, il presidente in carica al momento degli attacchi, nel 2005 non andò a New York ma partecipò ad una cerimonia alla Casa Bianca.

L’assenza di Biden quest’anno a New York però viene interpretata però da media newyorkesi come un’ulteriore conferma delle tensioni tra il presidente e il sindaco Eric Adams e la governatrice Kathy Hochul, entrambi democratici, per la posizione critica che hanno assunto sulla questione di migranti, denunciando l’eccessivo afflusso di rifugiati a New York City e nell’intero stato.

Non manca poi chi definisce grave il fatto che Biden quest’anno non sia neanche alla Casa Bianca per l’anniversario dell’11 settembre, definendo la cosa “un insulto e uno schiaffo agli americani”, come ha dichiarato un reduce della guerra al terrorismo – che fu lanciata da Bush in risposta agli attacchi dell’11 settembre – intervistato da The Gazette.

Ci sono poi le tensioni con le famiglie delle vittime delle Torri Gemelle che sono sul piede di guerra per la possibilità che la magistratura militare, che supervisiona dei cinque architetti degli attacchi detenuti a Guantanamo, possa offrire un accordo che risparmi loro la pena di morte in cambio di una piena confessione. Una possibilità – notificata ad alcune famiglie con una lettera arrivata poche settimane prima del doloroso anniversario – che inasprisce la rabbia che i familiari delle vittime provano per il fatto che l’amministrazione Biden continua, nonostante le promesse di trasparenza, a trattenere informazioni sui legami tra il governo saudita e gli attentatori.

Per Brett Eagleson, che nel crollo delle Torri Gemelle ha perso il padre ed ora guida 9/11 Justice, il problema infatti non è che con questo accordo Khalid Sheik Mohammed non sarà condannato a morte. “Questa è una distrazione, il fatto è che con l’accordo si evita il processo, il dibattimento pubblico – ha detto nelle scorse settimane a Politico – l’America si merita un processo, ci meritiamo di sapere quello che hanno da dire e ci meritiamo la verità”.

La Casa Bianca ha risposto alle polemiche spiegando che la lettera alle famiglie è stata inviata dall’ufficio della capo della procura militare, e “non riflette un cambio di politica, una decisione, una linea guida” da parte del presidente.