Un dolore profondo, quello di Lorenzo Cilembrini, che con “Ero troppo fatto” lascia un ricordo a un amico che non c’è più. E allo stesso tempo parla della sua dipendenza dall’alcol. Un problema serio, che lo ha portato nelle scorse settimane a condividere i suoi problemi di salute: “non posso più ingerire alcol, c’è il rischio che muoia”.
Con “Ero troppo fatto” il cantante aretino decide di mostrare quella parte fragile che lo ha bloccato nell’amare e nel dare conforto. La storia non si fa né con i sé, né con i ma, tuttavia, è chiaro che oggi il rimorso si presenta come una bestia: “se (solo) avessi fatto” avrei forse amato di più, mi sarei messo all’ascolto dell’altro. E non avrei perso tutto questo tempo.
In un’intervista a “La Nazione” parla anche del modo di pensare agli artisti. Nel sentore comune c’è un po’ quell’idea che gli autori e i musicisti siano capaci di fare arte solo attraverso sostanze psicotrope. Non è così, sottolinea, se hai dentro quelle capacità, riesci a esprimerle ugualmente.
Parliamo un po’ di musica. L’utilizzo di un apparato strumentale ci trascina in un viaggio up-tempo di stampo malinconico. La voce del Cile si accompagna a chitarre, bassi e (soprattutto) batterie potenti capaci di portarci un po’ indietro nel tempo, con lui, nella sua storia. In quelle situazioni in cui si era vivi soltanto a metà. E’ un pop che prende dal rock e si coagula col rap e con l’indie. Non c’è niente di più bello di qualcosa che non è catalogabile.