«In Lunigiana dopo gli eventi del 2011, nel Valdarno nel marzo 2013 e, ad un livello ancora maggiore, in Romagna dopo l’evento del maggio 2023, a tutte le frane conosciute se ne sono aggiunte centinaia di nuove, quelle che si credevano ferme si sono “riattivate” in parte o in toto. Quando si parla di prevenzione in materia di frane sapere dove sono, come sono fatte, se si muovono o sono ferme e quando si sono mosse, vuol dire poter gestire il fenomeno e quindi “gestire il rischio”». Gaia Checcucci, segretario generale dell’Autorità di Bacino distrettuale dell’Appennino Settentrionale traccia il quadro della situazione sul territorio toscano di propria competenza, focalizzando l’attenzione sulla necessità di fare prevenzione attraverso il costante monitoraggio e la conoscenza del territorio.
Si può evitare, tramite norme e comportamenti, che le situazioni peggiorino laddove è più pericoloso e, contestualmente, possiamo intervenire con opere e lavori ove è necessario farlo, così come è possibile decidere dove non è necessario impegnare risorse se non quelle strettamente necessarie a conoscere il fenomeno stesso e, infine, decidere dove è meglio non spendere altre risorse perché sappiamo che quella strada o quella casa, al prossimo evento meteo estremo, è molto probabile che saranno nuovamente danneggiate o distrutte.
Non esiste comunque una conoscenza definitiva. Quando si parla di frane, o più correttamente di “dissesti geomorfologici”, ovvero tutte le volte che si considerano quei fenomeni che interessano nel suo insieme terra, rocce e acqua, è possibile dire che la principale differenza tra la situazione all’epoca del Vajont e l’attuale è tutta nella conoscenza del fenomeno e nella sua distribuzione sul territorio nel tempo. I dissesti geomorfologici hanno caratteristiche che non permettono mai di dire che la loro conoscenza è definitiva; a ogni evento piovoso intenso vi sono nuove frane e nuovi dissesti. I dissesti vecchi e nuovi si conoscono meglio a ogni nuova informazione, sia essa il singolo rilevamento in campagna o la nuova banca dati radar da satellite che copre intere regioni.
Tra i tanti dati aggiornati derivati da questa attività è possibile dire che a oggi, nel territorio toscano di competenza dell’Autorità di Bacino distrettuale dell’Appennino Settentrionale ci sono 448 kmq di aree a pericolosità molto elevata, che impattano su centri abitati e infrastrutture strategiche, dove la normativa detta limiti precisi alle nuove costruzioni e indica la massima priorità in caso di opere, e 3154 kmq di aree a pericolosità elevata, dove è necessario intervenire verificando puntualmente le condizioni geologiche e geomorfologiche. Ma la vera prevenzione si costruisce con la conoscenza costantemente aggiornata e facilmente fruibile, affidabile nel limite di un fenomeno complesso, che permette a tutti gli specialisti, ma anche al singolo cittadino, di valutare alla scala di suo interesse le condizioni minime per la gestione del rischio “dissesti geomorfologici”, sia esso il caso di una singola casa piuttosto che un bacino in cui si vuole costruire una nuova diga.
Compito principale dell’Autorità di bacino è proprio quello di sviluppare costantemente la conoscenza del territorio per quanto riguarda i dissesti geomorfologici, sfruttando una sintesi collaudata di metodiche, costantemente in evoluzione grazie alle più recenti tecnologie, che permette di combinare il classico rilievo di campagna del geologo, l’analisi interferometrica radar satellitare con cadenza mensile o annuale, i rilievi della tecnologia laser LiDAR capace di vedere attraverso la vegetazione e riconoscere le forme e le dimensioni reali del terreno e le immagini aeree o da satellite, con riprese biennali, con altissimo dettaglio a terra.
«La prevenzione fondata tecnicamente, consapevole e priva dell’onda emotiva del clamore dell’evento, è il “mestiere” dell’Autorità di Distretto – conclude Checcucci-. Si tratta di valorizzare la conoscenza del nostro fragile territorio, che a livello di autorità di bacino abbiamo, e utilizzarla quando si tratta di investire le risorse a ciò destinate. E occorre farlo prima, in tempi non sospetti e non solo durante ed immediatamente dopo un evento. È vero, non fa notizia, ma sicuramente fa bene e salva vite».