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Israele, scontri con Hamas a Gaza: guerra si allarga

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(Adnkronos) – Nelle ultime ore Israele ha alzato drasticamente il livello del conflitto a Gaza che, nelle parole del premier Benjamin Netanyahu, è destinato a “cambiare il Medio Oriente”. Scontri sono segnalati tra i militari israeliani e uomini di Hamas nel nord della Striscia di Gaza, come hanno reso noto le forze armate israeliane (Idf) sul loro canale Telegram, riferendo che continuano “le operazioni sul terreno nel nord della Striscia di Gaza”, dove ci sono stati scontri con gli uomini armati di Hamas che avevano sparato alle truppe. 

“I terroristi che hanno sparato ai soldati sono stati uccisi, così come i terroristi che sono stati identificati sulla costa nella Striscia di Gaza vicino all’area di Zikim”, si legge nel post. Le dichiarazioni dell’Idf sono arrivate dopo che sul loro account Telegram le Brigate Izzedine al-Qassam Brigades, braccio armato di Hamas, avevano riferito di scontri con le forze israeliane nei pressi di Beit Lahia, nel nord della Striscia. 

 

L’operazione via terra prosegue e si allarga. Nella Striscia, nelle ultime 3 settimane, sono stati segnalati oltre 8.000 morti secondo il ministero della Salute di Gaza. Tra le vittime, anche 3.342 minori. 

I soldati israeliani entrati sabato nella Striscia di Gaza avrebbero issato, o almeno sventolato, la bandiera israeliana in cima a un edificio evidentemente colpito da bombardamenti. E’ questo almeno quanto emerge da un video condiviso online, che non è chiaro a quando risalga, a cui dedica un articolo anche il Jerusalem Post: si tratterebbe della prima volta da quasi 20 anni dal “disimpegno” del 2005. 

“Tre settimane dopo il crimine orribile (l’attacco di Hamas in Israele), i soldati del 52esimo Battaglione della Brigata 401 hanno issato la bandiera di Israele nel cuore di Gaza, lungo la spiaggia”, afferma la voce di un uomo nel filmato. “Non dimenticheremo – dice ancora nel filmato condiviso sui social anche dal giornale Israel HaYom, la cui autenticità non è possibile verificare – Non ci fermeremo fino alla vittoria”. 

Secondo molti analisti, anche israeliani, non è chiaro quale sia l'”end game”, cioè l’obiettivo preciso: quando e soprattutto come chiudere il conflitto? “Non si può promuovere una mossa di tale portata storica senza un piano per il dopo” afferma con la Bbc Michael Milshtein, a capo del forum per gli studi palestinesi del centro Moshe Dayan dell’università di Tel Aviv.  

Ex capo del dipartimento affari palestinesi dell’intelligence militare israeliana, Milshtein teme che il governo israeliano sia molto indietro con questa pianificazione. “E’ necessario farla subito”, aggiunge che quello che potrà succedere a Gaza, e soprattutto chi governerà nella Striscia una volta finito il conflitto, “è una domanda da un milione di dollari”. Anche tra diplomatici occidentali, che in queste settimane stanno conducendo intense discussioni con Tel Aviv, si ritiene che gli israeliani non abbiano chiari gli obiettivi della loro risposta bellica agli attacchi del 7 ottobre, oltra alla ribadita volontà della distruzione di Hamas.  

“Non c’e assolutamente un piano fissato – dice sempre all’emittente britannica una fonte diplomatica -una cosa è avere qualche idea scritta su un foglio, ma per renderle reali ci voglio settimane, mesi di diplomazia”. Sulla carta appunto Israele si dice intenzionato a non rioccupare Gaza e pronto a sostenere una nuova amministrazione, gestita da palestinesi, con il sostegno di Stati Uniti, Egitto e forse Arabia Saudita. 

Ma per il momento l’unica certezza sono i piani militari che vanno dall’annientamento delle capacità militari di Hamas al controllo di ampie zone della Striscia di Gaza. “Non credo che vi sia una fattibile, applicabile soluzione per Gaza dopo l’evacuazione delle nostre forze”, sostiene Haim Tomer, ex funzionario dell’intelligence israeliano, il Mossad. Anche perché Hamas è un’idea che, avverte Milshtein, non può essere semplicemente eradicata. “Non è come Berlino nel 1945, quando si è piazzata una bandiera sul Reichstag ed è tutto finito”, spiega. 

Il paragone più calzante è quello dell’invasione dell’Iraq del 2003, quando le forze Usa tentarono di cancellare ogni traccia del regime di Saddam Hussein e la cosiddetta “debaathificazione”, che da un giorno all’altro lasciò senza lavoro centinaia di migliaia di dipendenti pubblici e funzionari iracheni, fu un disastro che piantò i semi dell’insurrezione.  

Non a caso Joe Biden ha invitato Netanyahu a non fare gli “errori” commessi dagli Usa nel post 11 settembre. E non a caso il presidente americano ha inviato a Tel Aviv generali che ebbero un ruolo centrale in quella guerra: “Spero che loro spieghino agli israeliani che loro hanno fatto enormi errori in Iraq – continua Milshtein – esortandoli per esempio a non illudersi di poter sradicare il partito dominante o cambiare la mente delle persone, questo non succederà”. 

Parole che riecheggiano quelle, sul fronte opposto, di Mustafa Barghouti, presidente dell’Iniziativa nazionale palestinese: “Hamas è un’organizzazione popolare di base, se vogliono rimuovere Hamas, devono fare pulizia etnica a Gaza”. Ed è questa la paura più grande dei palestinesi, cioè che l’intenzione segreta di Israele sia quella di costringere centinaia di migliaia di palestinesi a lasciare Gaza e rifugiarsi in Egitto. “La fuga è un biglietto di sola andata, non c’è possibilità di ritorno”, afferma Diana Buttu, ex portavoce dell’Olp, evocando lo spettro di una nuova Nakba, l’esodo di massa del 1948. 

Il governo israeliano finora non ha fatto nessuna richiesta in questo senso, ma insiste sul fatto che i palestinesi si muovano dal nord verso il sud della striscia di Gaza. Ma commentatori, come Giora Eiland, ex capo del consiglio di Sicurezza Nazionale israeliano, hanno detto che l’unico modo in cui Israele potrà ottenere i suoi obiettivi senza uccidere una moltitudine di civili è che questi lascino Gaza: “Devono attraversare il confine con l’Egitto, temporaneamente o permanentemente”.  

Confine che il presidente egiziano,Abdel Fattah el-Sissi, continua a tenere chiuso, a parte l’apertura in questi giorni del valico di Rafah per l’ingresso con il contagocce di aiuti umanitari, denunciando appunto che la guerra a Gaza potrebbe essere “un tentativo di spingere i civili palestinesi a migrare in Egitto”.