(Adnkronos) – La Casa Bianca frena sull’intesa tra Israele e Hamas sulla liberazione degli ostaggi in cambio di una tregua che, secondo il Washington Post, sarebbe vicina. “Non c’è ancora un accordo”, ha dichiarato sul social X la portavoce del Consiglio nazionale di sicurezza della Casa Bianca, Adrienne Watson, aggiungendo che gli Stati Uniti “continuano a lavorare sodo per raggiungere un’intesa”.
Israele e Hamas sono vicini a un accordo mediato dagli Stati Uniti che prevede la liberazione di decine di donne e bambini tenuti in ostaggio a Gaza, in cambio di una pausa di cinque giorni nei combattimenti, ha scritto il Washington Post, citando fonti a conoscenza dell’accordo secondo cui il rilascio degli ostaggi, che dovrebbe iniziare nei prossimi giorni – salvo intoppi dell’ultimo minuto – potrebbe portare alla prima pausa prolungata nel conflitto a Gaza.
Secondo i termini di una dettagliata intesa di sei pagine, tutte le parti in conflitto congeleranno le operazioni di combattimento per almeno cinque giorni mentre i primi 50 o più dei 239 ostaggi verranno rilasciati in gruppi ogni 24 ore. Lo stop dei combattimenti è finalizzata anche a consentire un aumento significativo dei aiuti umanitari a Gaza, compreso il carburante.
Le linee generali dell’accordo, precisa il Washington Post, sono state delineate durante settimane di colloqui a Doha – in Qatar – tra Israele, Stati Uniti e Hamas, rappresentata dai mediatori del Qatar, stando a quanto riferito diplomatici arabi e non solo, ma fino ad ora non era chiaro se lo Stato ebraico avrebbe accettato di sospendere temporaneamente la sua offensiva.
Intanto Medici Senza Frontiere (Msf) riferisce di un familiare di un membro dello staff ucciso e un alto rimasto ferito in un “attacco” contro un convoglio dell’organizzazione umanitaria che cercava di evacuare 137 persone intrappolate da una settimana a causa degli scontri intorno all’ospedale di al-Shifa, a Gaza. L’attacco – precisa Msf in una nota in cui condanna “con la massima fermezza questa aggressione deliberata” – è avvenuto ieri pomeriggio.
Il convoglio di Msf, “composto da cinque mezzi con il simbolo dell’organizzazione ben riconoscibile (anche sui tetti)”, è partito alle 9 del mattino di ieri con 137 persone, composte da membri dello staff palestinese di Msf e i loro familiari, tra cui 65 bambini. Il convoglio ha lasciato i locali di Msf (guesthouse, ufficio e clinica situati vicino all’ospedale al-Shifa) in direzione del sud di Gaza per raggiungere un luogo più sicuro. Dall’11 novembre queste persone erano intrappolate a causa dei combattimenti e da allora Msf ha ripetutamente chiesto una loro evacuazione in sicurezza.
“Msf aveva informato entrambe le parti in conflitto di questo movimento”, prosegue la nota, secondo cui il convoglio “ha seguito l’itinerario indicato dall’esercito israeliano” e ha raggiunto la strada Salah Al Deen, insieme ad altri civili che cercavano di lasciare la zona. Dopodiché si è diretto verso l’ultimo checkpoint nei pressi di Wadi Gaza, in quel momento sovraffollato a causa dei lunghi controlli sui palestinesi da parte delle forze israeliane. Nonostante le informazioni condivise con l’esercito israeliano, “non è stato permesso al convoglio di Msf di attraversare il checkpoint per ore. Durante l’attesa, lo staff di Msf ha sentito degli spari, per paura il convoglio ha deciso di rientrare nella sede di Msf, situata a circa 7 km dal checkpoint.
“Sulla via del ritorno, tra le 15.30 e le 16, il convoglio è stato attaccato in via Al-Wehda, vicino all’incrocio con via Said Al A’as, nei pressi dell’ufficio di Msf. Due mezzi di Msf sono stati deliberatamente colpiti, uccidendo un familiare di un membro dello staff e ferendone un altro. Msf chiede ancora una volta di consentire con urgenza l’evacuazione del suo staff e di migliaia di altre persone, intrappolate dai combattimenti e che vivono in pessime condizioni nel nord di Gaza – si conclude la nota – Msf chiede un cessate il fuoco immediato, l’unico modo per ottenere corridoi di evacuazione sicuri per migliaia di civili”.