(Adnkronos) – “E’ un farmaco più maneggevole che possiamo usare con serenità in una popolazione anziana che per età è già predisposta a disordini di tipo cardiovascolare”. Lo ha detto Francesca Mauro, dipartimento di Biotecnologie Cellulari ed Ematologia, Università Sapienza di Roma, oggi a margine della conferenza stampa organizzata nella Capitale da BeiGene per annunciare la disponibilità in Italia di zanubrutinib anche per la Leucemia linfatica cronica e il Linfoma della zona marginale, due patologie che rientrano nei cosiddetti Linfomi Non-Hodgkin, neoplasie che originano dai linfociti B.
“La leucemia linfatica cronica – continua l’esperta – è la forma più diffusa di leucemia nei paesi occidentali. E’ una forma di leucemia indolente che interessa una popolazione adulta, l’età mediana è di 72 anni, caratterizzata da un aumento di cellule bianche, i linfociti, che vengono prodotti in eccesso per un disturbo nei meccanismi che regolano la loro crescita e la loro proliferazione. Alla diagnosi, la maggior parte dei pazienti si presenta a noi perché ha fatto, anche solo per controllo, un esame del sangue che mostra un incremento dei globuli bianchi. Si tratta di pazienti che solitamente stanno bene, non hanno alcun sintomo. Nella maggior parte dei casi, il paziente alla diagnosi ha una malattia piccola che non richiede trattamento e che richiederà trattamento al momento della progressione”.
Il farmaco “è un inibitore di Btk, un agente biologico che va a colpire le cellule leucemiche interferendo su un meccanismo che porta queste cellule a proliferare di più – spiega Mauro – è un farmaco orale entrato nella scena terapeutica della leucemia linfatica cronica ormai da qualche anno perché è stato testato in due studi importanti: lo studio ‘Sequoia’, uno studio randomizzato che ha arruolato pazienti non precedentemente trattati che hanno ricevuto zanubrutinib o bendamustina e rituximab. Questo studio ha mostrato una superiorità rispetto a una chemioimmunoterapia convenzionale e anche un ottimo profilo di tossicità. Il secondo, lo studio Alpine – aggiunge l’ematologa – è sempre randomizzato, ma l’efficacia e il profilo di sicurezza di zanubrutinib sono stati confrontati a quelli di un inibitore di prima generazione, ibrutinib. Anche in questo studio”, il farmaco da ora disponibile in Italia per 2 nuove indicazioni, “ha mostrato non solo una migliore efficacia in termini di ‘progression free survival’ con quasi l’80% dei pazienti libero da progressione di malattia dopo 2 anni, ma anche un migliore profilo di tossicità – conclude – soprattutto in termini di complicazioni cardiovascolari, in particolare la fibrillazione atriale”.