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Biondi, ’15 anni fa sisma L’Aquila, Meloni arrivò in Mini con Fazzolari’

Adnkronos
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(Adnkronos) – Oggi è sindaco dell’Aquila al secondo mandato. All’epoca, in quel terribile 6 aprile 2009 in cui un sisma di magnitudo 6.3 polverizzò l’aquilano trascinando con sé 309 vittime, indossava la fascia tricolore di un piccolo borgo, Villa Sant’Angelo: 500 abitanti e il più alto tributo di vittime pagato al terremoto per incidenza, vale a dire numero di morti sul totale abitanti. Pierluigi Biondi, oggi dirigente di Fdi oltre che primo cittadino del capoluogo abruzzese, ricorda all’Adnkronos quella notte indelebile di 15 anni fa e racconta che tra i primi ad arrivare ci fu quella che oggi è la presidente del Consiglio, all’epoca ministra della Gioventù del governo Berlusconi, Giorgia Meloni.  

“A bordo non di un auto blu, che sarebbe stata anche fuori luogo di fronte a una tragedia di tale portata, ma su una Mini con Giovanbattista Fazzolari al suo fianco”, anche lui destinato, qualche anno più tardi, a un ruolo di peso nell’attuale governo, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, ancor oggi, come all’epoca, tra gli uomini più fidati della presidente del Consiglio. “Meloni era stata a Villa Sant’Angelo qualche anno prima, il 4 novembre, per il Giorno dell’unità nazionale, era vicepresidente della Camera in carica – ricorda oggi Biondi -. Io ero un giovane sindaco proveniente dalle file del Fronte della gioventù, una rarità a quei tempi”. Poi arrivò quella notte, alle 3.32 L’Aquila e i paesini tutto intorno si sbriciolarono, piegati dalla furia del terremoto.  

“Tra le prime telefonate quella di Giorgia – ricorda Biondi – io ero tremendamente scosso, avevo perso tutto e sentivo il peso di un’intera comunità sulle spalle. Lei mi disse ‘sto arrivando, ci sono'”. A Villa Sant’Angelo in piedi era rimasto ben poco, e la vita, sin dalle cose più semplici -preparare un piatto di pasta, accendere la luce, andare al bancomat per ritirare dei soldi- diventata altro. Biondi si sposta con il resto degli abitanti alle porte della città, al parco comunale, dove viene allestita una tendopoli che anche per lui diventerà casa fino a fine ottobre. Meloni arriva, “presta ascolto, assicura agli abitanti impegno e aiuto, promette di tornare per la Pasqua, appena una manciata di giorni dopo”, racconta Biondi.  

Intanto i riflettori di tutta Italia e non solo si accendono sull’Aquila, Onna, San Demetrio, Santo Stefano di Sessanio, e tanti altri comuni che il terremoto ha reso un cumulo di macerie. “Per Pasqua ci viene annunciata la visita di Gianfranco Fini, allora presidente della Camera – ricorda Biondi – chiamo Meloni per evitare ci sia una sovrapposizione. Ma Giorgia ci tiene, ha promesso la sua presenza e vuole onorare l’impegno – racconta ancora il sindaco – la ‘dirotto’ su Fossa, perché ogni Comune aveva le sue tragedie, il suo dramma da condividere ed affrontare”. 

Drammi che Biondi ricorda, come fossero incisi sulla pelle. Sette mesi vissuti in tendopoli, ogni sera un’assemblea -megafono alla mano- per aggiornare, informare, ma anche rincuorare. “Non avevamo più nulla – ricorda – i più privati anche di un semplice documento che ne attestasse l’identità. Eravamo perduti. Ricordo che recuperai una macchina fotografica digitale e allestii una sorta di set fotografico, con la parete di una roulotte usata per fare da sfondo bianco: lì venivano fatti scatti e stampate foto da pinzare su cartellini bianchi, con nome, cognome e data di nascita, la controfirma del sindaco, la mia. Era un modo per riprenderci un’identità, pseudo documenti da usare in banca per fare un prelievo ad esempio, perché anche ritirare i tuoi soldi all’epoca era una mission impossible”.  

I ricordi si fanno largo. “Mi trovai con un anziano che non aveva più la dentiera, finita con tutto il resto delle sue cose sotto le macerie – racconta Biondi – un problema non secondario, perché senza dentiera mica puoi mangiare, dunque da risolvere alla svelta. O la ragazzina che non vedeva quasi nulla per via degli occhiali, che non aveva fatto in tempo a inforcare mentre la casa veniva giù. Nell’aquilano tutto era sospeso, chiuso e chissà per quanto, dovevi mettere in moto l’impossibile per rispondere a semplici bisogni primari”. 

“Io vivevo in una piccola roulotte, la chiamavo l’incubatrice perché il letto era piccolissimo e io, che non ho certo la stazza di un gigante, dormivo ripiegato su me stesso, in posizione fetale. Quando dovevo allontanarmi per lavoro e la giornata scorreva via veloce, arrivata la sera al pensiero di far ritorno in tendopoli -senza una privacy, senza il silenzio che a volte ti è necessario- mi veniva da piangere”. La pressione è tale che, scaduto il secondo mandato, Biondi decide di non ricandidarsi alla guida di Villa Sant’Angelo. “Ero troppo assuefatto, avevo bisogno di tornare a respirare”. Qualche anno più tardi, dopo aver messo su famiglia, tenta la sfida dell’Aquila, e a sorpresa viene eletto sindaco. 

Per lui, pur tra mille difficoltà, L’Aquila è riuscita a rialzarsi, a voltare pagina lasciandosi alle spalle quella terribile notte del 6 aprile. “Io ho visitato l’Irpinia, le zone del Friuli terremotate – racconta – e ho visto luoghi ricostruiti ma vuoti, quasi fossero estraniati, cemento senza anima. L’Aquila ha un’altra realtà, innanzitutto ha avuto un governo che ha fatto suonare le campanelle nelle scuole a settembre per tutti, un fattore determinante per una comunità che vuole continuare a vivere e non arrendersi a diventare un paese per vecchi”.  

“Anche le ruspe, le alte gru che sin da subito sono diventate quasi parte dello skyline aquilano – dice Biondi – erano anche un messaggio volto a dare fiducia, quasi a dire alla popolazione ‘non è finita, ripartiamo da qui’, nel segno di un sogno berlusconiano. E, checché se ne dica, la ricostruzione ha avuto tempi record. Io, in quei mesi drammatici, sfollato tra gli sfollati, mi sentivo di dire alla gente di avere fiducia, e oggi posso rivendicare il fatto che da Villa Sant’Angelo non è andato via nessuno, nonostante l’alto numero di vittime”. 

A chi gli chiede se abbia paura del terremoto, “lo rispetto – risponde – so che può far male e va gestito, ma non ho paura. Non ho paura perché oggi L’Aquila è una città sicura, sono sicure le case in cui viviamo, i nostri posti di lavoro, le scuole dove mandiamo i nostri figli. L’Aquila è sicura perché è stata ricostruita con le migliori tecniche che si potessero immaginare ai tempi della ricostruzione”.  

“Qualche mese fa, a seguito di una scossa di terremoto, ho deciso di chiudere prudenzialmente le scuole: l’ho fatto non perché avessi dubbi sulla loro tenuta o sulla loro sicurezza, ma perché credo che l’aspetto psicologico di una popolazione che ha vissuto un trauma immenso non possa essere sottovalutata. Il terremoto L’Aquila riuscirà a lasciarselo definitivamente alle spalle, ma le cicatrici dell’anima restano e anche quelle vanno preservate”.