(Adnkronos) – E’ stata fissata al prossimo 23 settembre, come anticipato dalla stampa locale, la prima udienza del processo che vedrà alla sbarra, davanti ai giudici della corte d’Assise di Venezia, Filippo Turetta, accusato dell’omicidio aggravato dell’ex fidanzata Giulia Cecchettin.
La difesa dell’indagato, l’avvocato Giovanni Caruso, aveva rinunciato all’udienza preliminare – in calendario oggi – spiegando la scelta come una conseguenza di un “percorso di maturazione personale” dell’ex studente e annunciando che non verrà chiesta neppure la perizia psichiatrica – che potrebbe essere imposta direttamente dai giudici – in modo che la giustizia “faccia il proprio corso nei tempi più rapidi possibili e nell’interesse di tutti”.
I regali rifiutati, la rabbia che sale quando capisce di averla persa, il coltello che affonda mentre lei grida ‘aiuto’ e tenta di parare i colpi. Nel racconto di Filippo Turetta traspare l’angoscia degli ultimi momenti di vita di Giulia, 22 anni di Vigonovo (Padova), laureanda in Ingegneria biomedica uccisa dall’ex fidanzato e compagno di studi l’11 dicembre scorso. Nel carcere di Verona, durante l’interrogatorio davanti al pubblico ministero di Venezia Andrea Petroni, afferma inoltre di aver provato a suicidarsi dopo l’omicidio.
Nel lungo verbale, visionato dall’Adnkronos e in parte anticipato dal programma tv ‘Quarto grado’, Turetta ricostruisce la relazione con la compagna di università, le liti finite in due occasioni con degli strattoni “per scaricare la rabbia”, i rapporti di Giulia con gli amici da cui “non volevo sentirmi escluso”, i ricatti emotivi (“sto troppo male perché ci siamo lasciati, non riesco a fare niente, mi farebbe stare meglio, mi aiuterebbe vederci”, le diceva), la protettiva sorella Elena a cui “sentivo fin dall’inizio di non essere piaciuto”. A lungo si mostra incapace di accettare la fine di una relazione, “la cosa che contava di più di tutte era sentirla e scrivere con lei o vederla e quindi il fatto che lei scrivesse meno o volesse un po’ cancellare i rapporti mi faceva stare molto male, cioè, molto triste”. Una rivelazione che fa anche a uno psicologo.
Il racconto dell’11 novembre del 2023 è quello di una giornata normale, quando prima di affondare il coltello – ben 75 volte dirà l’autopsia – “non è successo niente”. Il giro al centro commerciale di Marghera, la cena insieme, poi la prima aggressione nel parcheggio a 150 metri da casa di Giulia. La laureanda ha le idee chiare sul suo futuro senza Filippo. Rifiuta i suoi ultimi regali, tra cui un peluche e un libro illustrato. “Volevo darle un regalo, una scimmietta mostriciattolo. Con me avevo uno zainetto che conteneva altri regali: un’altra scimmietta di peluche, una lampada piccolina, un libretto d’illustrazione per bambini. Lei si è rifiutata di prenderlo. Abbiamo iniziato a discutere. Mi ha detto che ero troppo dipendente, troppo appiccicoso con lei. Voleva andare avanti, stava creando nuove relazioni, si stava ‘sentendo’ con un altro ragazzo” dice nel verbale.
“Le urlavo che non era giusto, che non doveva essere cosi, che io avevo bisogno vitale di lei, del nostro rapporto, che non dovesse voler cancellarmi o altro, non dovesse voler eliminare il nostro rapporto perché mi sarei…pensavo anche di… stavo male, pensavo di suicidarmi e che lei, insomma, invece doveva… doveva continuare col nostro rapporto…mi aveva promesso che non sarebbe mai più tornata insieme a me in qualsiasi caso”. Lei ha risposto decisa che non sarebbe tornata con me. È scesa dalla macchina, gridando ‘Sei matto, vaffanculo, lasciami in pace'” racconta il ventiduenne al pm.
“Ero molto arrabbiato. Prima di uscire anch’io, ho preso un coltello dalla tasca posteriore del sedile del guidatore. L’ho rincorsa, l’ho afferrata per un braccio tenendo il coltello nella destra.. L’ho caricata sul sedile posteriore”. Urla che saranno sentite da un testimone, ma che non basteranno a salvare Giulia Cecchettin.
“Ero molto arrabbiato, non volevo che andasse via. (…) Volevo che stesse con me. Volevo prima che non urlasse, che tornasse in macchina, volevo che stesse ancora in macchina con me, che discutessimo ancora, che parlassimo”. Nel parcheggio a Vigonovo, la studentessa scende all’auto e lui la blocca, le sferra “alla cieca” una prima coltellata. Lei urlava ‘aiuto’ ed è caduta. Allora l’ho presa per le spalle mentre era per terra. Lei resisteva. Ha sbattuto la testa”.
Giulia grida ‘aiuto’ poi è stordita per la caduta, il coltello si rompe e lui la carica in auto, sul sedile posteriore, lontano dalla borsa con il cellulare che resta davanti. “Non sapevo dove andare” poi si dirige verso la zona industriale di Fossò, mentre Giulia prova a reagire ma il secondo tentativo di fuga diventa mortale. “Mentre eravamo in macchina lei ha iniziato a dirmi ‘cosa stai facendo? sei pazzo? Lasciami andare’. Era sdraiata sul sedile, poi si è messa seduta. Si toccava la testa. All’inizio pensavo solo a guidare. Poi ho iniziato a strattonarla e tenerla ferma con un braccio. C’eravamo fermati in mezzo alla strada, ho provato a metterle lo scotch sulla bocca, non mi ricordo se se l’è tolto o è caduto da solo perché non l’avevo messo bene. Si dimenava. È scesa e ha iniziato a correre. Anch’io sono sceso”. Un tentativo di mettersi in salvo ripreso, in parte, da una telecamera di una ditta (inquadra Giulia alle 23.40) che prelude l’atto finale.
“Avevo due coltelli nella tasca in auto dietro al sedile del guidatore. Uno l’avevo lasciato cadere a Vigonovo. Ho preso l’altro e l’ho rincorsa. Non so se l’ho spinta o è inciampata. Continuava a chiedere aiuto. Le ho dato, non so, una decina, dodici, tredici colpi con il coltello. Ho colpito un po’ tutto, le braccia, il collo, la faccia, il torace, la nuca” dice mimando davanti al pubblico ministero il gesto con le mani. “In quel momento ero un po’ in panico, l’ho colpita…poi si proteggeva con le braccia, a un certo punto non ho guardato neanche più dove stavo colpendo”.
L’ultima coltellata è sull’occhio: “Ho smesso subito, non avrei voluto colpirla in certi punti” e aggiunge: “Un po’ perché non reggevo più tanto, un po’ perché mi ero accorto di averle dato una coltellata sull’occhio e la cosa mi faceva troppo senso e quindi ho smesso”. L’autopsia restituisce 75 coltellate e una morte per shock emorragico provocato dal colpo alla testa e dalle coltellate.
La ricarica sulla sua Fiat Punto quando Giulia è già morta. Non parla di raptus o blackout, ma alcuni dettagli non li ricorda e confessa di non aver avuto un piano di fuga. Racconta di essersi liberato lungo la strada degli abiti sporchi di sangue, del coltello e del cellulare della ventiduenne per guadagnare tempo, e di essersi diretto verso le montagne con due obiettivi: nascondere Giulia e suicidarsi.
La scelta cade sul lago di Barcis, in provincia di Pordenone, a cento chilometri da casa Cecchettin. Turetta abbandona la vittima e la copre con dei sacchi neri “perché non venisse rovinato e fosse trovato nelle migliori condizioni”, ma anche per avere “un po’ di tempo per riuscire a togliermi la vita, e ovviamente non volevo essere trovato subito sennò non ce l’avrei fatta”. Un tentativo che va a vuoto almeno un paio di volte perché “non ho avuto mai il coraggio” poi la visione dell’appello dei genitori in tv e quindi la ‘resa’ con l’arresto vicino Lipsia, in Germania, dopo sette giorni dall’omicidio di Giulia Cecchettin.