Home ULTIM'ORA Sven Goran Eriksson morto per cancro al pancreas, cos’è e come si...

Sven Goran Eriksson morto per cancro al pancreas, cos’è e come si cura

Adnkronos
35
0

(Adnkronos) – Ancora molto difficile da curare, il tumore del pancreas – che ha colpito Sven Goran Eriksson, l’ex allenatore della Lazio morto oggi all’età di 76 anni – è il cancro con la minor sopravvivenza sia a un anno dalla diagnosi (34% nell’uomo e 37,4% nella donna) che a cinque anni (11% nell’uomo e 12% nella donna). Secondo i dati più recenti, nel 2022 sono stati stimati 14.500 nuovi casi in Italia.  

Il pancreas produce alcuni ormoni molto importanti tra i quali l’insulina e il glucagone (che regolano il livello degli zuccheri nel sangue). Anche diversi enzimi sono fabbricati nel pancreas, come per esempio la tripsina. Trasportati dai dotti pancreatici nell’intestino, tali enzimi contribuiscono alla digestione e all’assorbimento di alcuni tipi di nutrienti. Il tumore del pancreas – spiegano gli esperti di Airc, Associazione italiana ricerca contro il cancro – si manifesta quando alcune cellule, nella maggior parte dei casi le cellule di tipo duttale, si moltiplicano senza più controllo. Non solo. Le cellule tumorali che crescono nel pancreas si diffondono con grande facilità ai linfonodi vicini e ad altri organi quali il fegato e i polmoni, oppure si propagano nell’addome dando luogo alla cosiddetta carcinosi peritoneale. 

I soggetti più a rischio sono fumatori tra i 50 e gli 80 anni di età. Secondo quanto riportato nel rapporto. I numeri del cancro in Italia, a cura – tra gli altri – dell’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom) e dell’Associazione italiana registri tumori (Airtum), eliminando completamente il fumo si potrebbe potenzialmente evitare il 33% dei decessi per tumore del pancreas negli uomini e il 13% nelle donne. Il rischio di sviluppare un tumore del pancreas aumenta anche in presenza di mutazioni in specifici geni, come quelli per familiarità delle neoplasie della mammella e dell’ovaio, e inoltre di sindrome da melanoma familiare con nei multipli atipici, pancreatite familiare, sindrome di Lynch e sindrome di Peutz-Jeghers. 

Altri fattori che possono favorire lo sviluppo del tumore sono l’abuso di alcol e caffè, sedentarietà, obesità, presenza in famiglia di casi di tumore del pancreas o della mammella o del colon e le esposizioni professionali ad alcuni solventi di uso industriale e agricolo o a derivati della lavorazione del petrolio. Inoltre, essendo un organo fondamentale per la digestione, anche la dieta ha un ruolo importante: un’alimentazione ricca di grassi e proteine animali sembra essere associata a un aumento di rischio. Non a caso lo stesso Eriksson aveva lanciato lo scorso gennaio attraverso numerose interviste un messaggio speciale: “Prendetevi cura della vostra vita”.  

Il tumore del pancreas in fase precoce non dà segni particolari e, anche quando sono presenti, si tratta di disturbi piuttosto vaghi, che possono essere interpretati in modo errato sia dai pazienti sia dai medici. Per questi motivi la diagnosi spesso arriva quando la malattia è già in fase avanzata. Tra i sintomi più evidenti: perdita di peso e di appetito, ittero (colorazione gialla degli occhi e della pelle), dolore alla parte superiore dell’addome o alla schiena, debolezza, nausea o vomito. Una percentuale di malati che va dal 10 al 20% può essere colpita anche da diabete. 

La diagnosi si effettua con un’accurata visita da parte del medico per identificare la presenza di eventuali segni o sintomi della malattia e per raccogliere informazioni sulla storia medica personale e familiare. Quindi si procede con una tomografia computerizzata (Tc) per rilevare i tumori del pancreas e la loro eventuale diffusione a linfonodi, fegato e dotti biliari, con una ecografia dell’addome e con tomografia a emissione di positroni (Pet) per identificare la presenza di eventuali metastasi, anche piccole, e in alcuni casi viene eseguita in combinazione con la Tc (Pet/Tc). 

In presenza di ittero è necessario controllare se i dotti biliari sono ostruiti e se tale ostruzione è dovuta a un tumore. A questo scopo si può ricorrere a diversi esami: la colangiopancreatografia retrograda endoscopica (Ercp), la colangiografia transepatica percutanea e la colangiorisonanza magnetica. Quest’ultimo è il meno invasivo dei tre esami e permette di ottenere una buona definizione della sede dell’ostruzione; non consente però di effettuare una biopsia per cercare la presenza di cellule tumorali, cosa che è invece possibile con entrambi gli altri esami. Il prelievo di tessuto attraverso la biopsia è un esame fondamentale per confermare la presenza di un tumore del pancreas e anche per determinarne le caratteristiche, in modo da guidare anche il successivo trattamento. 

Nonostante i progressi della ricerca e della medicina, il tumore del pancreas resta una delle neoplasie più difficili da trattare e da curare, soprattutto perché in molti casi viene diagnosticato in fase già avanzata. Tuttavia, nel 20% circa dei pazienti (1 su 5) la malattia viene identificata quando è ancora localizzata ed è quindi possibile procedere con l’asportazione chirurgica completa del tumore, non senza rischi. Dopo l’intervento può essere necessario eseguire una chemioterapia, l’unica arma a disposizione, insieme alla radioterapia, per i tumori che non sono operabili. In casi selezionati si può ricorrere anche a una chemioterapia prima dell’intervento chirurgico, cosiddetta neoadiuvante. 

Alcuni farmaci a bersaglio molecolare sono già utilizzati nella terapia di alcuni sottotipi di cancro pancreatico: tra questi gli inibitori tirosin-chinasici come erlotinib. In presenza di mutazioni nei geni Brca1 e Brca2, l’inibitore di Parp olaparib potrebbe essere di aiuto come terapia di mantenimento per alcuni pazienti, ma al momento in Italia il farmaco non è ancora prescrivibile a carico del Servizio sanitario nazionale. Sono in corso inoltre sperimentazioni con farmaci immunoterapici in grado di potenziare l’azione del sistema immunitario contro il tumore. Le terapie oggi disponibili in clinica spesso non sono risolutive, ma alcune hanno mostrato di allungare l’aspettativa di vita per diversi malati.