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Un’isola sfratta le zanzare, il progetto di Procida funziona (grazie ai maschi)

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(Adnkronos) –
Un’isola prova a sfrattare le zanzare dopo un quarto di secolo e dopo una convivenza scomoda che va avanti all’incirca dal 2000. “Fino ad allora, a Procida, nessuno ha memoria di punture alle caviglie, rimediate di giorno”, segno tipico della modalità di azione della zanzara tigre. Lo sbarco dell’insetto sull’isola “si ritiene dunque risalga intorno a quell’anno”. Da allora la specie aliena Aedes albopictus ha prosperato, ‘espropriando’ di fatto le colleghe autoctone, ma oggi – almeno in una prima area di circa 20 ettari, in zona Chiaiolella – sta avendo vita difficile. Grazie a un gruppo di ricercatori, a cittadini-scienziati e all”inganno’ di maschi sterili, una delle perle dell’arcipelago campano si è trasformata in un laboratorio a cielo aperto dove si sta testando un metodo di controllo ‘green’ della popolazione di zanzara tigre asiatica, che permetterebbe di relegare in cantina gli insetticidi.  

A fare il punto con l’Adnkronos Salute sui risultati ottenuti finora è Marco Salvemini, professore associato di genetica al Dipartimento di Biologia dell’università degli Studi di Napoli Federico II: “Siamo riusciti a dimezzare la quantità di zanzare tigre nell’area e siamo contenti perché dalle interviste fatte agli abitanti è emerso che questa riduzione del 50% ha avuto un grosso impatto sulla loro qualità di vita (fino a pochi giorni fa non avevano avuto praticamente punture, ora la densità di zanzare sta aumentando di nuovo). Ma vorremmo diventasse di più, e siamo convinti che se si ampliasse il raggio d’azione all’intera isola ci si potrebbe davvero avvicinare all’eradicazione”. Occasione per il bilancio sul progetto: un meeting in corso oggi e domani a Pavia, che ha acceso i riflettori sui 2 anni di attività del Partenariato esteso Mur-Pnrr ‘Inf-Act’ sulle malattie infettive emergenti (come quelle di cui le zanzare possono essere vettori).  

Il gruppo di Salvemini, con il progetto ‘StopTigre’, è fra quelli coinvolti in Inf-Act (sono oltre 700 i ricercatori impegnati su 5 macro-temi di ricerca distribuiti in 25 enti e oltre 40 istituzioni partner ospitanti). La logica del progetto è questa: si usano zanzare maschio rese sterili isolandole e irradiandole allo stadio di pupa con raggi X a dosi molto basse. Questi maschi sono all’apparenza come gli altri, “sono in grado di volare, di accoppiarsi, di corteggiare le femmine, producono sperma. La femmina si accoppia, ma poi le uova che va a deporre non si sviluppano”, illustra l’esperto. La femmina della zanzara tigre si può dire che sia ‘monogama’: si accoppia una sola volta e accumula gli spermatozoi che poi utilizza per più cicli di fecondazione in tutta la sua vita. “Quindi una volta che si è accoppiata con un maschio sterile, sarebbe fuori gioco”. Il progetto è partito nel 2016, e fin da subito è stato “partecipato – spiega Salvemini – perché senza il sostegno della comunità locale questi programmi di controllo degli insetti vettori sono difficili da realizzare”, visto che poi le zanzare si stabiliscono e proliferano proprio nelle loro proprietà, nei loro giardini e balconi. 

Un aiuto “prezioso” il loro, sia nella fase iniziale di studio e monitoraggio che in quella clou di controllo. “I cittadini – racconta Salvemini – hanno partecipato, hanno imparato a usare alcuni dei dispositivi che usiamo noi, ci hanno aiutato nella produzione dei dati e, una volta mappata la stagionalità e i picchi di densità dell’insetto sull’isola, sono stati sempre i cittadini ad aiutarci nella liberazione degli insetti sterili usati per ridurre la popolazione di zanzare. Ed è proprio in questo coinvolgimento l’innovazione”. Gli scienziati hanno acquisito i maschi sterili in una biofabbrica di Crevalcore (nel Centro agricoltura ambiente Giorgio Nicoli), pioniera nell’applicazione di questa metodica, approccio che sta sperimentando fin dal 2008 dopo la prima epidemia di Chikungunya in alcune aree dell’Emilia Romagna. Per i rilasci, “abbiamo coinvolto circa 300 famiglie da giugno ad oggi. Noi davamo i contenitori con le zanzare sterili, i cittadini tornavano a casa, le liberavano nel loro giardino seguendo le nostre istruzioni e ci mandavano foto e video di quanto fatto. Ieri abbiamo avuto l’ultimo di questi rilasci, per un totale di 150mila maschi sterili liberati dai cittadini. In parallelo, poi, ogni settimana da inizio maggio il mio team di ricerca ha rilasciato 100mila maschi sterili nell’area, e stiamo ancora continuando”. 

“Avremmo voluto avvicinarci di più al traguardo di una riduzione del 90% della popolazione di zanzare – ammette l’esperto – ma ci siamo messi alla prova scegliendo non un gruppo di case isolate, ma un’area più complessa. L’impatto è stato comunque significativo e persone che vivono nell’altra parte dell’isola ci hanno anche chiesto perché da loro l’intervento non è stato fatto. Abbiamo spiegato che lo studio serve proprio a dimostrare l’applicabilità della metodica. Ma l’idea è di farlo il prossimo anno: almeno arrivare a coprire un terzo dell’isola, con l’ambizione massima di applicare la tecnica proprio a tutta. Perché oggi la densità di zanzare è talmente alta che le femmine fertili si accoppiano con maschi non sterili fuori dall’area di studio, e rientrano nell’area di studio a deporre uova in grado di schiudersi, il che va a inficiare il risultato finale. Vorremmo attivare meccanismi che potrebbero poi portare ad applicare la stessa tecnica magari anche a Capri e poi a Ischia, in una condizione di complessità crescente”. 

Le isole sono un ambiente ideale per questi studi. Quanto alla sostenibilità economica di un approccio simile, “è l’obiettivo a cui mirare”, dice Salvemini. Per quanto riguarda lo studio, “le risorse complessive del progetto di quest’anno si attestano intorno ai 100mila euro, per fare un esperimento sull’intera isola stimiamo ce ne vorrebbero 500mila. Riteniamo comunque che in prospettiva, superando il limite produttivo dei maschi sterili, questo possa diventare un approccio sostenibile. L’aspirazione, sul lungo termine, sarebbe cercare di strutturare intorno a questa idea magari una realtà produttiva, anche per consentire ai tanti ragazzi che si sono formati con noi in questi anni di avere degli sbocchi professionali. Magari partendo da una start-up e poi arrivando a una piccola azienda, fare tesoro di questa esperienza. Sarebbe il nostro sogno: riuscire non solo a risolvere un problema sanitario, ma creare opportunità durature per ragazzi che hanno fatto un lavoro eccezionale”.