(Adnkronos) – Per la quarta volta in meno di 50 anni Israele ha messo i ‘boots on the ground’ in territorio libanese, sempre con lo stesso obiettivo: creare uno spazio di sicurezza tra i propri nemici e il confine. La prima, nel 1978, aveva lo scopo di respingere i combattenti palestinesi e di impadronirsi di una stretta striscia di terra lungo la frontiera con il Libano, che a quel tempo era diventato rifugio per circa 100mila palestinesi. Nel 1982 Israele invase il sud del Paese dei cedri, un evento che contribuì alla nascita di Hezbollah, fondata con l’obiettivo dichiarato di espellere le forze israeliane.
Nel 2006 poi scattò l’operazione israeliana ‘Pioggia d’Estate’, nota anche come la guerra dei 33 giorni. A innescarla fu un attacco nello Stato ebraico di miliziani di Hezbollah, che rapirono due soldati e ne uccisero altri otto. Tsahal reagì bombardando dal 12 luglio obiettivi militari di Hezbollah come lanciatori di razzi, ma anche strade, porti e l’aeroporto di Beirut. Dieci giorni dopo scattò l’offensiva di terra, con l’obiettivo dichiarato – lo stesso della nuova operazione – di spingere Hezbollah a nord del fiume Litani. Le ostilità cessarono il 14 agosto, quando Israele, Hezbollah e il governo libanese accettarono la risoluzione 1701 delle Nazioni Unite.
Nei combattimenti morirono 1.100 libanesi tra civili e militanti di Hezbollah, 120 soldati delle Idf e oltre 40 civili israeliani. Nel luglio 2008, in seguito a negoziati mediati dall’Onu, i corpi dei soldati rapiti furono restituiti a Israele in cambio di cinque prigionieri libanesi e dei corpi di circa altri 200.