Non era facile mettere insieme i produttori toscani di vermouth sotto l’ombrello di una serie di valori condivisi. Ma è con l’obiettivo di arrivare a un disciplinare, preludio a sua volta del riconoscimento di una denominazione e di una struttura di tutela, che un gruppo di 12 aziende del territorio si è riunito allo scopo del preservare, la qualità e l’autenticità del prodotto made in Tuscany. E così, prima dell’inizio del primo Salone del Vermouth – in scena al The Social Hub sabato 5 ottobre – è stata varata la prima “Carta Etica” del vermouth toscano. Il progetto nasce dall’idea di Enrico Chioccioli Altadonna (Winestillery), Tommaso Pieri (Duit) e del giornalista Federico Silvio Bellanca, e ha in pochissimo tempo trovato il favore di realtà produttive diverse tra loro di sei province (Firenze, Prato, Siena, Grosseto, Lucca e Livorno) unite dalla volontà di preservare la tradizione secolare locale della fortificazione del vino, e – all’interno della regolamentazione europea che già pone delle regole per la produzione – autoimporsi ulteriori paletti per la definizione in etichetta della dizione “Vermouth Toscano“.
“Nel mondo del gin abbiamo visto come con estrema facilità si possono aggirare le regole – spiega Bellanca – ad esempio facendosi produrre il distillato a Londra o in qualche grande distilleria industriale collocata geograficamente in un’altra area della penisola, e poi chiamarlo toscano. Anche se a livello di legge non c’è nessun illecito, è comunque fuorviante per il consumatore e disincentiva lo sviluppo del settore a favore della semplice Private Label, senza dunque portare valore al territorio”. La carta ha la forma di una lettera aperta che mira a coinvolgere anche gli altri produttori regionali: le regole che i produttori si sono auto-imposti sono sostanzialmente due, ovvero che la produzione avvenga dentro i confini regionali e che il vino di base del vermouth sia prodotto in Toscana. “Fa sorridere che in un momento storico in cui si parla di espianti della vite per sovrapproduzione – chiosa Bellanca – non si apra un dibattito su come il vino della nostra regione possa essere valorizzato in maniera alternativa, ad esempio per prodotti fortificati come questi”
Non è un segreto che questo primo passo vorrebbe portare in futuro a una categoria a parte, magari tutelata anche a livello istituzionale con una IGT, e su questo fronte si aprirà presto un confronto con le istituzioni. “Vorremmo lavorare in tal senso, magari riscoprendo le differenze storiche dal Piemonte, come ad esempio l’utilizzo dei vini rossi invece che i bianchi caramellizzati. Ma ora è presto per questo tipo di ragionamento, siamo molto soddisfatti della carta dei valori che ci siamo dati”. Ecco dunque i cinque punti che le aziende hanno firmato:
LA CARTA ETICA DEL VERMOUTH TOSCANO IN CINQUE VALORI
Noi produttori, distillatori, trasformatori, esperti del settore, distributori, consumatori, utilizzatori, intendiamo pensare, progettare, produrre, pretendere, usare un VERMOUTH che sia TOSCANO in quanto:
1). Realizzato usando interamente vini prodotti nel rispetto della Indicazione Geografica Tipica “Toscano”
2) Prodotto ed imbottigliato esclusivamente in Toscana
3) Rispettoso delle uve, dei vini e dei metodi tradizionali del luogo di produzione
4) Naturale tanto nei metodi produttivi quanto nella scelta delle materie prime
5) Fedele alle origini del Vermouth storicamente prodotto in Toscana
Le aziende firmatarie oggi sono:
– Winestillery (Gaiole in Chianti)
– Duit (Firenze)
– Nannoni Grappe (Civitella Paganico)
– Distilleria Elettrico (Livorno)
– Opificio Nunquam (Prato)
– Fermenthinks (Firenze)
– Vermouth Del Mugello (Barberino di Mugello)
– Senensis Spirits (Castellina in Chianti)
– Mr Liquor (Lucca)
– Tenuta Lenzini (Capannori)
– La Selva (Orbetello)
– Giochi di Spiaggia (Prato)