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Alireza Mohtashami e le ‘Riminiscenze’ del cuore

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di Elisabetta Failla

Chiude oggi a La Ménagère a Firenze Riminiscenze, la personale dell’artista iraniano Alireza Mohtashami. Questa esposizione altro non è che un racconto attraverso il quale è possibile conoscere l’autore, la sua grande sensibilità, le sue fragilità ma anche la sua grande forza che lo ha portato a affrontare il dolore di un periodo difficile della sua vita e a cercare di superarlo attraverso la pittura.

Alireza Mohtashami è prima di tutto un’anima bella, gentile, doti che trovano le fondamenta anche nelle sue origini persiane. Qualità che si trovano anche nella sua arte, delicata, elegante e con colori talvolta anche molto vivi, nella quale esprime le sue riflessioni sulla vita riuscendo ad emozionare e a far pensare il visitatore. “Con i miei quadri voglio far riflettere le persone – spiega l’artista – davanti alle quali ci fermiamo, osserviamo e consapevolmente pensiamo e , magari, ci emozioniamo. Ognuno di noi vede qualcosa che talvolta coincide anche con il mio pensiero”. E prosegue: “Noi siamo energia e la creazione è la manipolazione di questa energia. Noi siamo venuti in questa terra per un motivo, ognuno di noi ha un percorso unico per imparare e disimparare. Dobbiamo seguire i segni che la vita ci mette misteriosamente davanti per viverla in modo migliore. La vita non è una gara ma semplicemente un’esperienza pieno di emozioni diverse”.

Alireza ama gli autoritratti dove appare il suo io, rappresentato sia attraverso i tratti di semplici di un bambino sia in modi più estremi, utilizzando sia elementi di me stesso che di altre persone. La mostra è dedicata alla memoria Shole, la sua madre amatissima e recentemente scomparsa. Le opere esposte sono il frutto di questo dolore che l’artista cerca di superare attraverso il colore e i fiori nei quali ha trovato rifugio e conforto, elementi importanti della cultura persiana, e che vengono dipinti ovunque: sui tappeti ma anche sugli occhi perché rappresentano i ricordi.

Proprio gli occhi sono un altro dettaglio importante della mostra a cui l’artista dedica alcuni quadri. In particolare siamo attirati da una sua opera dove gli occhi sono sul cuore. Inevitabile pensare alla famosa frase del Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry: “Non si vede bene che col cuore, l’essenziale è invisibile agli occhi”. Ma Alireza ci spiega che “gli occhi sono un elemento importante di una persona, sono lo specchio che raccontano la propria identità e quella di coloro che in essi si guardano”.

Un altro elemento importante è il tappeto, altro ricordo della sua cultura e del suo paese da cui manca da tempo e di cui sente la nostalgia. “Il tappeto è un compagno silenzioso, ci avvolge e ci accoglie ogni volta che vi appoggiamo i piedi – racconta – Ha osservato con noi numerosi ricordi, belli e brutti, e in qualche modo, nelle sue forme di fiori calpestati, li custodisce. Io prendo queste forme di fiori dal tappeto, che per me sono come i miei ricordi: a volte nitidi, altre volte sfocati, alcuni meravigliosi, altri amari. È una sorta di terapia tra me e l’immagine di quel tappeto. L’arte è strana – prosegue – ma, forse, noi esseri umani lo siamo ancora di più. Siamo esseri soggettivi quando si tratta di conservare e raccontare i ricordi, li modelliamo un po’ a nostro piacimento. Anch’io, a volte, mi attengo fedelmente alle forme dei fiori, altre volte no. A volte siamo noi a calpestare i ricordi, altre volte sono i ricordi a calpestare noi. La vita è come un tappeto colorato, pieno di fiori (ricordi), ed è bello, ogni tanto, osservarlo da lontano per coglierne l’intero disegno”.

La particolarità di questo tappeto sta al centro: una sorta di rosone che ricorda quelli delle chiese. Ma l’interpretazione dell’artista è diversa (anche se accetta il nostro pensiero): “in questo tappeto, a metà, si trova una simmetria che rappresenta il ricordo che è una dualità tra me e un’altra persona, tra me e un’altra cosa, tra me e la natura, e a volte tra me e me stesso. Forse anche l’io è un dualismo. La simmetria può essere molto fedele all’altro lato, altre volte meno, e a volte per niente. Si dice che il messaggio di un’opera d’arte debba essere talmente chiaro da non richiedere spiegazioni o dichiarazioni. Io credo, invece, che l’arte autentica abbia a volte bisogno di essere introdotta dall’artista, con parole o attraverso un testo, perché le emozioni sono così complesse che non si possono tradurre completamente solo attraverso l’aspetto visivo. Spesso – conclude – anche le parole del linguaggio non hanno il potere di trasmettere e esprimere le complesse emozioni umane. L’artista è colui che riesce, in qualche modo, a convertire queste emozioni in un’opera, o perlomeno in gran parte di essa”.