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Il crocifisso, l’occidente e la ragione che “Fa forca”. Tesi, quando un rettore non è ‘Magnifico’

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Di Umberto Cecchi

cecchi-rettoreCi sono cose che non finiranno mai di meravigliarmi, e di spingermi a chiedermi come faccia in nostro Paese ad andare avanti se gli uomini preposti alle cose serie, perdono tempo, e fanno perdere agli altri le ultime poche certezze, con scelte che certo non appartengono al presente o al futuro delle strutture loro affidate, ma a cose che sono in realtà marginali a tutto questo. Anche se importanti in altri settori della nostra esistenza.

Il magnifico – ma è davvero ancora magnifico o si tratta di termine ormai obsoleto?– rettore dell’Università degli Studi di Firenze, che ha il compito di amministrare e gestire, anche intellettualmente, l’Ateneo, ha preso finalmente un provvedimento di notevole importanza: togliere il crocifisso dall’aula Magna.
Mi auguro davvero che con questo gesto l’ingegner Tesi, abbia risolto i problemi annosi della nostra Università, che sono tanti, talmente tanti che l’Ateneo degli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, fa rimpiangere quello d’oggi. Per strutture, organizzazione, docenti e così via. Per fortuna c’è il Magnifico Rettore a difendere il buon nome dell’Università che una volta ebbe insigni maestri in Medicina, grandi docenti in Scienze Politiche, fior di professori in Legge e Lettere. Nomi che ancora oggi si ricordano con rispetto. E forse molti docenti d’oggi sono ancora di gran livello, ma manca loro attorno una struttura in grado di dare spazio e valorizzare il loro lavoro, invece di preoccuparsi di togliere i crocifissi dalle aule. Magne o mignon che siano.
Non è togliere il crocifisso che scandalizza un vecchio laico come me, che proprio perché laico non si fossilizza sui simboli, neppure su quelli che rappresentano la storia del nostro Occidente, come la croce all’ombra della quale il primo europeista, Carlo Magno, si fece incoronare la notte di natale dell’Ottocento: Ottocento e basta, vorrei ricordare, senza il mille davanti. Quello che mi meraviglia è il fatto che un manager con sulle spalle una università come quella di Firenze, piena di problemi da affrontare e risolvere con una certa urgenza, abbia all’improvviso la folgorazione di Costantino in senso inverso: l’immagine del crocifisso come simbolo perdente. Da cacciare.
Aveva ragione Oriana Fallaci, che Firenze non ama perché non ne sopportò a suo tempo le critiche. Aveva ragione quando sosteneva che il pericolo vero che arrivava da altri mondi, altre culture e altre religioni – in specie dall’Oriente – era quello che le volessero conquistare l’anima. Io tempo qualcosa di peggio. Temo che questa deriva di culture arrivata ormai allo scontro anche fisico, basato sempre più spesso sul terrorismo – aveva ragione Spengler agli albori del Novecento? – ci voglia conquistare più che l’anima, la ragione. E come si vede il sonno della ragione genera mostri.
L’aula magna dell’Università di Firenze, senza crocifisso apparirà per qualcuno più ampia, luminosa e accogliente, più aperta al mondo che trascura la storia d’Europa e dell’Occidente, ma a me sembra solo una sciocca inutile resa della nostra cultura, una resa che viene da un mondo che la cultura dovrebbe alimentare, non estirpare. Farne una cosa globale, magari aggiungendo simbioli non togliendoli. Ma, com’è che recita il Corano, Magnifico rettore? Allah Kherim, mi pare. Sì: Allah Kherim: Dio ha voluto così. Mi aspetto in ogni modo che l’Università islamica del Cairo e quella de La Mecca, vengano benignamente incontro a Tesi e tolgano dalle loro aule il nome di Dio il misericordioso. Cancellando, come facciamo noi, tradizioni e cultura.
Se fossi nei panni del mio amico Matteo Renzi, sindaco di una città che rappresenta per eccellenza gran parte della cultura Occidentale, non lascerei all’arcivescovo giudicare con ironia il gesto di Tesi, vorrei invece farne la resistenza culturale di una mondo dove per secoli le stupidaggini sono sempre state avversate. Mica per fede, ma semplicemente per non far la figura degli sciocchi, remissivi e un po’ troppo bischeri, con il cervello all’ammasso.

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