La politica si affina, ma non dimentica che la storia è fatta di corsi e ricorsi. E che sono soprattutto le parole quelle che segnano in passaggi, danno segno dei mutamenti, reinventano miti e riti.
Renzi si è presentato al Senato con il coraggio, l’impeto e l’assalto della gioventù. Sapeva d’essere, tutto sommato, un ‘caso’ anomalo mai visto prima: lui non eletto dal popolo, lui, senza avere l’età per potere sedere su quelli scranni, lui con una fronda in casa, che è usuale in tutte le nostre azioni politiche, è andato a chiedere – e spero che per un presidente del consiglio sia l’ultima volta, come ha detto senza remore – la fiducia ai senatori.
Avvezzi per storia, costituzione e natura politica, ad altri approcci e altri sistemi. E ha fatto bene. Era l’unica cosa da fare. Parlare a braccio. Partire dalle radici del paese: la scuola e la famiglia, per arrivare al lavoro, per ricordare ai senatores abbastanza tiepidi davanti a quell’alieno, che lui sindaco ha guardato gli occhi di un genitore disoccupato.
Mille volte ho pensanto – e l’ho anche scritto – che Monti era fuori dalla grazia di Dio perché non sapeva di cosa parlava elencando le sue cifre. Perché dava i numeri senza mai aver pensato una volta sola agli occhi disperati di un disoccupato, al quale prendeva altri soldi in tasse. Renzi quegli occhi gli ha visti. Lo ha detto: le cifre sono importanti, certo, ma dietro le cifre ci sta la disperazione degli uomini. Il dramma delle famiglie. Ed è dall’uomo che bisogna ripartire. Ed eccoli i corsi e i ricorsi della politica, io ragazzo negli anni Cinquanta, ho pensato a La Pira e ai suoi discorsi, a quando ci riunì, cattolici e liberali – io ero fra i secondi – pur venendo dalla scuola di padre Balducci, per spiegarci la pietà.
In certo momento il discorso di Renzi, meno lungo di quanto mi aspettassi, è stato magnetico: non per il gestire della braccia, per il volgersi da una parte all’altra dell’emiciclo, per la foga e per distribuire a tutti, amici e nemici la medesima attenzione, non per la disinvolta mano in tasca, ma per aver posto se stesso e i senatori quasi su due fronti diversi: Voi, signori della politica, mettete in soggezione il sindaco che viene dalla periferia. Ma il sindaco deve dirvi chiaramente cosa pensa per ottenere il vostro assenso.
E c’è andato giù duro. E’ qui che ho ritrovato il Renzi che conoscevo da presidente della Provincia e da sindaco di Firenze, disinibito, capace di esprimere un pensiero senza dove soggiacere a captatio benevolentiae. Il sindaco junior dei mercatini ha spiegato ai seniores i bisogni del Paese, le crisi del Paese, il pensiero del Paese. Sostenendo, rivolto ai Cinque Stelle che mugugnavano, che qualcuno al Senato ci stava per giocare e mentre giocava il Paese andava a fondo. L’avevate mai sentito da un primo ministro seduto fra i banchi del Governo?
Ha dettato i suoi punti: scuola, lavoro, fisco più dolce, cultura come risorsa economica, giustizia che deve ritrovare se stessa e tornare garanzia della gente. Non mandare a casa chi investe e uccide perché guida in stato di ebrezza da alcool o droghe. Com’è più volte successo. Lotta alla burocrazia, colpevole a metà coi politici dei danni del paese. So bene che è una impresa disperata ma se ci riuscirà, ma se sarà capace di rimettere in moto l’economia, di cacciare i guru della burocrazia che bloccano incoscienti la macchina dello Stato, a rendere alla giustizia il senso della giustizia e alla scuola la sua dignità, se tornerà a far sì che i parlamentari varcata la soglia di Montecitorio non dimentichino che in piazza del parlamento c’è un paese che soffre, avrà fatto la sua rivoluzione.
Comunque sia, piaccia o no, da ieri qualcosa è cambiato nei palazzi del potere. Almeno me lo auguro, per il nostro Paese.
Umberto Cecchi