Umberto Cecchi
Dopo aver gestito magistralmente la Toscana, il governatore Rossi è pronto a gestire il Pd nazionale. La sua candidatura – chiamiamola idea di candidatura, sogno nel cassetto – emerge da una intervista che più che mettere in risalto i fasti ignora i nefasti della Regione. Sarebbe stato bello se il governatore avesse fatto intendere che una volta sistemata con una buona amministrazione la fetta d’Italia assegnatagli, si sarebbe dedicato a salvare il Pd. Sì, va bene, sappiamo da amici romani che nel PD tremano al solo pensiero, ma lui no, lui si sente taumaturgo. Come un tempo i re di Francia.
Dunque è pronto a candidarsi. Ovviamente a patto che Renzi , suo attuale forzato socio in politica perché non poteva permettersi di lasciarlo sciolto nella sua Toscana, gli permetta – come ha fatto per la regionali – di candidarsi senza ricorso alle primarie. Se così non fosse, temo ci sarebbero stati grossi problemi elettorali alle regionali, dove ha preso una caterva di voti in meno della volta scorsa, e ci sarebbero problemi per una candidatura convalidata dalle primarie, come segretario Nazionale di Pd. Ma sono sottigliezze.
Certo è che il governatore ha dichiarato aperto il ‘gioco lungo’: sa che non potrà essere rieletto la prossima volta, e quindi, rifiutando di sparire nel gorgo dei dimenticati, non pago di una politica che non ha certo brillato, cerca una fatiscente e pur breve immortalità sognando il Nazareno. Tanto per tirare a campare, insomma.
La cosa ci agghiaccia: non vorremmo che riducesse la sanità italiana a livello di quella Toscana, che costringe i chirurghi a operare a mezzo servizio, un giorno sì e tanti altri giorni no, con buona pace di chi aspetta in lunghe liste d’attesa, che a volte per alcuni, terminano disgraziatamente prima del turno stabilito; che ha ridotto i letti dei nuovi ospedali, e non solo di quelli, creando ingorghi; che lotta per cercare di sanare le voragini di debiti aperte in alcuni nosocomi come Massa, dove in una manciata di anni si sono accumulati buchi per milioni e milioni di euro, ma che nessuno, proprio nessuno, sembra farci caso. Eppure la frase ricorrente, anche in campagna elettorale, è stata, con grande disinvoltura, ‘la sanità è il nostro fiore all’occhiello’. Forse Rossi si riferiva al fiore dell’oblio: quello che porta a dimenticare, come una ‘canna’ di roba robusta.
Ovviamente nell’interviste a sfondo rosa, Rossi dimentica non solo gli ospedali, ma l’economia Toscana: a Prato che muore, perde le sue industrie e sopravvive coi cinesi, offre la coda di una pista aeroportuale e definisce trogloditi i suoi cittadini che non la vorrebbero. Non so se sbagliano o no, i pratesi, ma avere un’idea propria non autorizza Rossi e nessun altro a paragonarli a cavernicoli in un rigurgito di malcelato totalitarismo. Di arroganza del potere.
Chi legge ricordi una sola cosa: lui quasi pisano, al tempo degli accorpamenti delle prefetture, fra la colta ma Piccola ‘sua’ Pisa e la grande ed economicamente forte Livorno, lui aveva indicato Pisa come città guida con prefettura e Provincia.
Mi fermo qui. Non elenco la cultura che dalla Toscana se n’è fuggita assieme alle sue case editrici, alle università considerate centri di potere politici più che centri di produzione culturale, e che nelle graduatorie nazionali perdono punti, alle varie città termali lasciate languire, e quelle poche che si salvano si salvano grazie a privati; alle cliniche mediche, una volta prestigiose che stanno sparendo perché per burocrazie assurde non si fanno più convenzioni, cercando così di aiutare gli ospedali costretti a tempi ridotti di lavoro. Come se fossero centri di produzione di oggetti di lusso. Anche questi in difficoltà in tutta la regione. Basti vedere la difficile situazione della gestione della moda.