di Umberto Cecchi
Firenze, disse una volta Foster, quello di “Camera con Vista”, non quello della appena defunta stazione omonima, è una città che si dibatte continuamente fra un corpo e un’anima. E spesso, purtroppo, la bilancia favorisce il corpo. Anche se grazie a uomini di genio, nei secoli se l’è sempre cavata, mantenendo quasi integra l’una cosa e l’altra.
Rifletto sullo stesso tema ogni volta che gli uomini d’oggi cime mettono le mani sopra, a questa città che è la cartina di tornasole di un’epoca di selvaggi globali cibernetici, archistar, intelletual politici che sanno tutto dei segreti di un Bit, ma niente di cultura vera: non di quella che ci adattiamo addosso caso per caso, utilità per utilità, ragion politica per ragion politica. Tornaconto per tornaconto senza prendere in considerazione il sociale se non fa comodo farlo. E quando fa comodo c’è sempre, o quasi, qualcosa che non quadra.
Guardo Firenze con l’occhio demodè e stanco dell’anziano. Ma senza nostalgie. La guardo oggi per oggi e non voglio immaginarmi il domani. L’oggi è una stazione abortita tutta vetri cemento e acciaio che spunta da sottoterra: roba da archistar cone la famosa e ormai obsoleta pensilina degli Ufizzi: sia l’una che l’altra pensate nel posto sbagliato e sia l’una che l’altra, idealmente abbattute dopo le spese inutili di rito. Ma tant’è: vale sempre la pena tentare. La scuola per i marescialli dei carabinieri è il castello di Re Artu dove manca Lancillotto, ma basta la mole della struttura e la storia della sua realizzazione, a due passi dall’altra mole, il tribunalaccio, a creare un’epopea alla rivescia: sbagliati per entambi luogo e strutture aarchitettoniche. Tralascio l’aeroporto, per stanchezza e ripetitività. Inutile dire che è sbagliata l’ubicazione e la spesa, si sa da tempo.
Tutto comincia quasi trent’anni fa grazie al Pci di Occhetto che non mi ricordo più come si chiamava allora, forse Ulivo forse….Ma non importa. Occhetto, al momento di varare il progetto Fiat-Fondiaria, bloccò tutto con una telefonata: non s’ha da fare, e nell’acquiescenza generale di partito obbediente non si fece e si bloccò drammaticamente lo sviluppo di Firenze fino a qualche anno fa, quando Occhetto non contava più nulla e a Palazzo Vecchio ci si accorse che bisognava sbaraccare per far cassa. E così si cominciò a vendere. Via il Comunale, via i palazzi delle Ferrovie, via le varie carceri sparse qua e là, via villa Basilewsky, via…Insomma tutto in vendita assieme a tanto altro. L’importante è smerciare – stazione compresa – comunque sia, e in barba a ogni considerazione storica o sociale. Ambientale. Quel che conta è incassare.
Mi soffermo su villa Basilewsky, dove pare dovrebbe trovare la sua sede la moschea di Firenze. Un luogo di culto che cambia totalmente l’origine e la storia della struttura e forse, giocoforza, quella realtà architettonica neoclassica che si contrappone in modo interessate alle mura della Fortezza e allo spazio Oriana Fallaci. So che i soliti post terzomondisti di recupero e buonisti di facciata – perchè oggi certo buonismo rende prosperi alcuni, sia privati sia associazioni – ma i barboni italiani muoiono di freddo sui marciapiedi, mentre organizzatori di privati dedite all’accoglienza ricevono fondi e remunerazioni – mi daranno del razzista. Poco importa. Io alcune cose antirazziste le ho fatte, come adottare bambini d’altri continenti, farli studiare, diplomare e farli lavorare, e mantenere ovviamente le loro religioni, o ancora metter su, ormai da tanti, troppi anni, un ospedalino in mezzo a una savana sperduta, e cosi via. La parola razzista serve a chiudere i dibatti da parte di chi è razzista davvero e impedisce ogni forma di dialogo. Non sai cosa controbattere? Basta accusare il tuo interlocutore di razzismo ed è fatta. Questo in pubblico. In privato. Invece, ci si dice stanchi di ‘questa ondata di sfaccendati che bisogna anche mantenere. Che ne fanno di tutti i colori e ci fanno paura’.
Ma torniamo alla città e a villa Basilewscky, e al mio amico Izzedin Elzir, imam di Firenze che conosco e stimo da quando era un giovane studente. Se fossi in lui non la vorrei lì la mia moschea: la vorrei in un ambiente più ricco di vita, più a tu per tu con la realtà di una città come Firenze, che ha sempre accettato – è vero, erano altri tempi – di buon grado ogni religione e ogni struttura destinata alla religione. Basta vedere la grande chiesa ortodossa, a due passi proprio da Villa Basilewsky, o il tempio ebraico in zona piazza D’Azeglio. Eppure per restare alla chiesa ortodossa, mi pare che in realtà i riti copti vengano officiati nel centro storico, anzi, storicissimo della città a due passi da Santa Croce. Un pò come a Milano dove la moschea è strettamente inserita nella città. L’eccezione romana è una eccezione fermamente voluta da Andreotti, se ben ricordo.
La villa ha una storia lunga, troppo lunga per riassumerla, da casa altoborghese al tempo della forte presenza russa a Firenze – come la Demidof fu rifugio splendido di nobili – a clinica privata, e infine, e anche questa scelta fu sbagliata, a centro sociale. Isola avulsa dal contesto. Ora può benissimo diventare moschea, ma l’ubicazione è sbagliata. Di nuovo fuori dal contesto storico: un transito continuo di traffico che ha travolto via Lorenzo il Magnifico e quasi occluso il passaggio ai giardini, dove il giorno giocano bambini de è poi ritrovo di tossici e di prostituzione.
La prima idea era quella di ubicare la moschea in viale Europa, ma sembra che i proprietari abbiano chiesto una cifra eccessiva. E così, siccome è il mercato che tira e non le scelte adatte alla città, e c’è in Palazzo Vecchio una gran fretta ad avere la moschea, avremo un’altra struttura sbagliata nel posto sbagliato. E una città sempre più snaturata.