Al peggio non c’è mai fine, diceva mia nonna, pescando fra i tanti modi di dire toscani ai quali spesso ricorreva. E aveva ragione.
Uno dei punti in cui il peggio affiora a tempi alterni, è quel lato della Stazione di Michelucci che si affaccia in fronte all’Ina-Assitalia: uno di quei punti dove Firenze postclassicheggia in architettura e dove Michelucci, dal canto suo dette ottimi insegnamenti di modernismo architettonico, giocando anche con la palazzina della Ferrovia della quale Ottone Rosai affrescò i muri con quei suoi paesaggi toscani a cipressi olivi e casolari, per chiudere il ciclo iniziato all’interno della Stazione stessa, dove oggi la ‘Feltrinelli’ ha aperto la sua spaziosa biblioteca, nella zona in cui ‘Grandi Stazioni’ hanno del tutto annullato una pur minima sala d’aspetto che avrebbe fatto non poco piacere ai viaggiatori, trattati come bestiame in transumanza. Mi ricorda Sherementievo a Mosca ai tempi del socialismo del popolo dove il popolo si ammassava senza quasi alcun un punto d’appoggio.
Siamo davvero andati indietro: un esempio di progresso regrediente. Tanto più che ora con la baggianata del controllo terrorismo, si sono chiusi quasi tutti i possibili ingressi ai punti di ristoro ai quali si arriva solo dalla parte esterna. Sono stato dirottato e ho avuto per ore una pistola alla tempia, perché nonostante i controlli tre terroristi erano saliti in aereo con me, quindi so bene quanto queste misure siano inutili. Palliativi. Ma tant’è, la libertà paga scotto alla superficialità con la quale invece controlliamo le frontiere del Paese.
Ma torniamo al peggio al di fuori della stazione stessa. Anzi al brutto. Zona sfortunata, dicevo: c’era stato l’esperimento della pensilina di Toraldo di Francia della quale l’architetto poteva rispondere solo della parte estetica, non della sciagurata gestione. Gestione che non c’era. Così che la struttura era diventata un cesso a cielo semiaperto per chi cercava vespasiani che non esistono a meno di ricorrere a un bar, ordinare un caffè, chiedere una chiave che ti viene data con aria sospetta, come se fosse quella della cassaforte di famiglia.
Unica vera azione positiva di Renzi, allora sindaco di Firenze, fu quella di eliminare la pensilina, e tornare a dar aria pura alla stazione senza miasmi di scarichi organici umani.
Ma poteva andar tutto liscio? Affatto, c’è di sicuro chi odia l’estetica di quella zona della città, così dopo anni di pressappochismi estetici siamo ritonfati nella bruttura: una sorta di siepi oblunghe di pali pseudotelegrafici spuntati dal nulla che non ha più neppure Calcutta nella sua angosciante periferia lungo la Dun Dun street. Sono i pali della tramvia, quelli che la alimentano d’elettricità: un sistema abbastanza primitivo che oggi, in tutto il mondo, civile e non, sono sostituiti da linee d’alimentazione sotterranee. Nelle zone di interesse conservativo.
Ma il lato peggiore della cosa, quello che ci sgomenta sono le parole dell’assessore Bettarini pronunciate eri nel corso di una conferenza stampa che sostenevano più o meno che i pali fanno parte della cosa più bella fatta a Firenze. Non so se intendesse negli ultimi quindi giorni, rispettando così Il Brunelleschi, Giotto, e il pur più banale ma solido Vasari. Il male non è sbagliare. E’ scegliere il brutto pensando che sia bello. E questa è ormai la sorte di Firenze.