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Wound Care, un tema complesso che richiede sinergia tra professionisti

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La vulnologia è un tema complesso. Per questo, l’Ordine delle professioni infermieristiche interprovinciale Firenze – Pistoia ha organizzato nei giorni scorsi l’evento Ecm “Il Wound Care in Toscana oggi: tra falsi miti e credenze da sfatare”. Patrocinata dalla Sirtes e dalla Wuhws, la giornata ha offerto un’ampia panoramica delle migliori conoscenze utili a districarsi nel complesso ambito della vulnologia e, allo stesso tempo, ha permesso di sensibilizzare i professionisti sanitari sull’importanza della sinergia tra le diverse figure coinvolte nella gestione dei pazienti con Lesioni cutanee croniche (Lcc).
«La giornata di oggi – ha detto Danilo Massai, presidente dell’OPI Interprovinciale Firenze Pistoia aprendo il confronto sul tema del Wound Care – è stata pensata per stimolare il dibattito su chi è il vulnologo e sul tema dell’integrazione e della sinergia fra coloro che lavorano in quest’area. Sono milioni i cittadini italiani affetti da ferite più o meno complesse, quindi si tratta di un tema cui prestare attenzione. Esiste già in toscana il Master in Wound Care ma noi andremo avanti, in collaborazione con la Regione, per implementare percorsi formativi che preparino alla cura delle ferite croniche, anche nell’ottica dell’introduzione della figura dell’infermiere di famiglia e comunità. Dovremo però lavorarci anche politicamente. Vogliamo portare avanti una cultura interdisciplinare, trovare equilibri fra i professionisti, partendo sempre dalla persona, dalla famiglia, e dalla sostenibilità delle cure».
All’intervento di Danilo Massai è seguito quello di Sara Rowan membro del Consiglio EWMA (European Wound Management Association) associazione no profit che conta 53 associazioni affiliate in 35 Paesi. Rowan ha annunciato che per il 2019 è prevista la pubblicazione di “Prevenire e gestire infezioni post chirurgiche nei diversi settori della sanità”. «Stiamo inoltre lavorando – ha aggiunto – per ottenere la certificazione di esperto in wound care e nel 2020/2021 pubblicheremo un documento che raccoglie le esperienze di familiari e pazienti per sensibilizzare la popolazione sull’impatto che ha avere una ferita cronica».

La prima sessione, dal titolo “Le medicazioni sono tutte uguali” è stata moderata da Roberto Banfi, dirigente del settore Politiche del Farmaco e dispositivi della Direzione diritti di cittadinanza e coesione sociale. «Ringrazio Opi Firenze-Pistoia per aver programmato un incontro su questo argomento – ha detto -, spesso trascurato. I prodotti sono tanti ed è necessaria competenza per poter decidere quando e come usarli correttamente. Quando ci sono tante opzioni, come nell’ambito del wound care, ci vuole un metodo ed è necessario produrre una classificazione precisa che aiuti ad orientarsi. Nell’ambito del wound care l’attenzione si sposta dall’ospedale al territorio d è necessario valutare anche tutta una serie di fattori, incluso lo stile di vita del paziente».
«Agli albori del wound care la tendenza era “seccare” la ferita – ha spiegato Giovanni Romboli infermiere con master in Wound Care – oggi nella medicazione avanzata la priorità è mantenere un ambiente caldo-umido: con questo tipo di medicazioni riusciamo a gestire l’80-90% delle ferite. La cosa difficile è trovare la medicazione “ideale” rispetto al tipo di ferita (da pressione, vascolare, da piede diabetico, chirurgica, ustione); per questo è fondamentale conoscere le caratteristiche del materiale a disposizione: le medicazioni non sono tutte uguali ed è necessario scegliere la più idonea in base alla sua qualità e alle sue performance».
«La cura della ferita è la branca più empirica della medicina: rispetto alle scienze esatte (farmacologia, chirurgia) non ci sono evidenze di grado forte – ha detto Sergio Bruni infermiere con master in Wound Care -. L’interpretazione della ferita non poggia su una sola conoscenza ma richiede una conoscenza mirata che permetta di inquadrare il paziente. La scelta di una medicazione avanzata va fatta in base alla microbiologia, alla stadiazione, alle caratteristiche e al fondo della ferita, portando avanti un’indagine su ciò che non è visibile: nel wound care il particolare ribalta il fondamentale».
L’intervento di Natascia Mennini ricercatrice al Dipartimento di Chimica di Firenze ha trattato la questione dal punto di vista chimico fisico: «sul mercato sono presenti diverse categorie merceologiche: schiume in poliuretano, alginati, fibre di cellulosa, idrocolloidi, idrogel. Ognuna di esse, ha caratteristiche chimico-fisiche ed effetti differenti. Ma anche all’interno di una stessa categoria merceologica ci possono essere differenze e la medicazione può avere un comportamento diverso in vivo, da poter sfruttare in base ai diversi tipi di lesioni. Quindi è importante conoscere le caratteristiche dei prodotti, per scegliere in maniera consapevole e farne un uso appropriato».

La seconda sessione ruotava invece attorno al tema “Gli antibiotici sono da preferire agli antisettici topici”, ed è stata moderata da Filippo Bartalesi, medico di malattie infettive a Firenze. Stefano Michelagnoli, medico di Chirurgia vascolare ospedale San Giovanni di Dio ha parlato del “Trattamento chirurgico open e non dell’arteriopatia periferica AOP”. «A differenza di quello che si pensa l’arteriopatia è una malattia grave, con una prognosi di sopravvivenza a 5 anni inferiore rispetto al cancro al seno – ha detto Michelagnoli -. La parola d’ordine è il timing: il medico deve avere una prospettiva del percorso del paziente, scandire nel tempo gli interventi. Nel paziente claudicante – ha spiegato – non bisogna intervenire chirurgicamente ma correggere i fattori di rischio: mai operare un paziente che non ha fatto almeno sei mesi di attività fisica controllata. I pazienti con ischemia critica invece vanno trattati sempre e gli interventi vanno fatti prima possibile».
Roberta Bernardi e Gianna Ignesti, infermiere esperte in Wound Care, hanno trattato in dettaglio il tema della detersione e dell’antisepsi. Tra i punti affrontati anche le linee guida della Regione Toscana in merito, puntualizzando che l’operatore esperto decide poi in base alla propria esperienza. Tra gli accorgimenti da adottare: promuovere detersione e sbrigliamento, non usare acqua ossigenata, evitare la miscelazione e uso contemporaneo di diversi antisettici, nelle LCC con colonizzazione critica fare un’accurata detersione, non fare pressione per non spingere batteri in profondità e detergere la cute perilesionale.
Leonardo Cantasano, infermiere con master in Wound Care, si è concentrato sulla reale necessità delle medicazioni antisettiche. «L’ambiente umido – ha detto – dà possibilità di guarigione o rischia di peggiorare la situazione favorendo l’infezione o la gangrena umida? A influire sono le condizioni cliniche, la comorbilità, la compliance, il setting, il tempo, le risorse disponibili. A stabilire come si deve procedere dev’essere un team multidisciplinare, composto da medico, medicatore opportunamente formato e la persona con ulcera perché per aumentare le possibilità di guarigione è fondamentale coinvolgerla nelle scelte. Tutte le principali linee guida sono concordi nel raccomandare di ridurre la carica batterica della lesione, anche perché il controllo dell’odore, la gestione dell’essudato, del dolore sono importanti per la qualità della vita».
“La sovrainfezione batterica nelle ulcere croniche: quale ruolo gioca?” Questo il titolo dell’intervento di Lorenzo Roberto Suardi, medico infettivologo. «È necessario intercettare il momento in cui una situazione di equilibrio batterico, per tanti motivi, si rompe. Qui entra in gioco l’occhio, l’odorato del medico e dell’infermiere che deve riuscire a cogliere il momento in cui una colonizzazione critica si trasforma in infezione. Un tampone ben fatto e ben interpretato è sicuramente d’aiuto ma sono i segni e i sintomi clinici a dover guidare l’atteggiamento medico. Bisogna sempre valutare in maniera opportuna, anche perché nella maggior parte dei casi somministrare antibiotici senza evidenze non è utile. L’iter, in caso di paziente con ulcera infetta deve prevedere una prima valutazione congiunta tra medico specialista in malattie infettive e infermiere esperto in wound care e successivamente una costante rivalutazione del caso in sinergia».

La terza sessione, moderata da Monica Piovi, direttore generale di Estar, è stata dedicata al tema: “Le medicazioni avanzate costano troppo”. «È curioso che la medicazione avanzata per cui il nostro sistema sanitario spende di più e ha un peso importante sul volume d’affari sia proprio il film di poliuretano trasparente, quello che normalmente viene usato dai reparti di oncologia e chirurgia – ha spiegato Marco Romanelli, professore dell’Università di Pisa e presidente del World Union of Would Healing Societies Wuwhs -. Nella cura delle piaghe da decubito bisogna migliorare, limitando gli accessi al pronto soccorso, intervenendo più tempestivamente, individuando la cura migliore, per evitare di ritrovarsi i pazienti con la piaga già in uno stato avanzato».

«Tra le varie cose che interessano in una gara (e che sono presenti nel prospetto di aggiudicazione), di un prodotto ci possono essere quantità e misure diverse (come per i cerotti), questo perché ogni azienda sanitaria ha il proprio fabbisogno – ha commentato Sara Toccafondi, farmacista dirigente Sos Farmacia interna Santo Stefano Usl Toscana Centro -. Quindi, sulla base di quella che è la prospettiva di attività, variano i fabbisogni e anche gli ordini da fare. I prezzi di questi ultimi in questi anni sono “crollati”. In particolare, sono dimezzati i prezzi dal 2008 a oggi (per esempio per ordinare l’idrocolloide prima si spendeva 0,61 euro oggi 0,39 euro). Questo perché col tempo si sono potuti fare raffronti, passando dalle gare di area vasta a quelle regionali non solo i prezzi degli ordini sono calati ma i parametri qualitativi sono aumentati. Questo perché qualità significa risparmio e aumentando il raggio di azione del mercato si sono potuti avere prezzi migliorativi dei prodotti. In quest’ottica di ottimizzazione delle risorse, a breve ci saranno gare per macro aree (che comprenderanno più regioni insieme)».
«È molto difficile fare uno studio di calcolo dell’impatto globale che ha il costo di gestione dell’ulcera perché ci sono troppe variabili – ha detto Valerio Vallini, medico dell’Ospedale di Pontedera -. Bisogna puntare alla deospedalizzazione: l’ospedale deve essere riservato solo ai casi gravi. Il tasso di ospedalizzazione per esempio per il diabete o per l’insufficienza cardiaca cambia significativamente da regione a regione. Di sicuro per contenere la spesa è importante la prevenzione, fondamentale prima che si sviluppino lesioni, e iniziare il trattamento più appropriato dopo la loro insorgenza, in modo da far durare la lesione il minor tempo possibile».
L’assistenza domiciliare, in questi casi, ha diverse variabili che concorrono alla spesa totale – ha commentato Isabella Gabbriellini, infermiera dell’azienda Usl Nord Ovest -. Le voci più rilevanti di spesa sono per il 67% quelle relative al personale sanitario impiegato (ossia gli infermieri). A questo punto, penso che sia necessario uniformare il trattamento di questa problematica, fare un corretto utilizzo dei prodotti, occorre conoscerli al meglio, praticare la formazione continua del personale, rilevante anche il supporto famigliare e, infine, un modello assistenziale personalizzato può essere una risposta appropriata. Assegnare al “case manager” (che poi sarebbe l’infermiere) il paziente con Lc riduce i tempi di guarigione».
«L’infermiere spesso viene mandato dal medico curante allo sbaraglio a curare un paziente – ha detto Paolo Bortolotti, medico dell’Ospedale di Lucca -. La cosa migliore sarebbe che i vari specialisti concorrano nella guarigione del paziente (a partire dall’infermiere all’assistente sociale, dallo psicologo al farmacista). Auspichiamo a una sorta di “Vuln Unit” in cui tutti siano attori della guarigione del paziente. Occorre creare un punto di riferimento al quale chi ha queste problematiche possa rivolgersi».
«La gran parte dei problemi di salute è rappresentata dalle ulcere vascolari – Giuseppe Branca, medico chirurgo vascolare di Firenze -. L’obiettivo che ci dobbiamo prefiggere, dunque, è il corretto inquadramento diagnostico e terapeutico delle ulcere cutanee degli arti inferiori e la conseguente appropriatezza delle cure. Il lavoro di squadra divide i compiti ma moltiplica il successo di risoluzione del problema, oltre che contribuisce a dare un forte risparmio al sistema».

Infine, la quarta e ultima sessione: “Il vulnologo non esiste”, moderata da Mario Cecchi, coordinatore organismo toscano di Governo Clinico «La regione Toscana nel 2016 ha costituito dei gruppi di lavoro per stabilire l’appropriatezza dei dispositivi medici, in particolare per le medicazioni avanzate – ha detto Francesca Falciani, infermiera master Wound Care -. Tutte le regioni hanno a disposizione gli stessi materiali ma poi questi vanno usati in una maniera appropriata. Le linee di indirizzo in questo senso sono ben precise e chiare. Per appropriatezza si intende un intervento sanitario correlato al fabbisogno del paziente, fornito nei modi e nei tempi adeguati, sulla base di standard riconosciuti».
«Le lesioni diventeranno sempre più un problema di grande rilevanza sociale – ha commentato Patrizia Terrosi, infermiera master Wound Care -. Il problema delle ulcere rappresenta il 4% della spesa sanitaria nazionale. E di questo il 30-35% è il tempo impiegato dal personale infermieristico per curarle. Ecco perché è importante la ricerca di percorsi che vadano a uniformare i trattamenti professionali nei confronti di questi pazienti. Il punto cruciale è la presenza in tali percorsi di un infermiere specialista in Wound Care, che faccia da congiunzione tra paziente, ospedale e territorio. Al momento esistono master ma poca applicazione pratica nella realtà italiana».
«Oggi per operare in un dato ambito quale tipo di infermiere bisogna essere? Ad esempio, infermieri specialisti o esperti? In questo ambito c’è molta confusione, molta complessità giuridica e tutto questo non aiuta a fare chiarezza – ha spiegato Luca Benci, giurista -. La legge, inoltre, dice che il professionista ha responsabilità nella scelta dei presidi per la medicazione e risponde per lesioni colpose o per morte. In quest’ultimo caso però non si parla più di omicidio colposo ma questa variazione in aula di tribunale non ha contribuito minimamente a “limitare i danni” per gli infermieri».

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