Valorizzare l’infermiere di famiglia e di comunità. È questa, secondo Opi Fi-Pt, la chiave per la fase 2, che va presa in considerazione per supportare pazienti e sanità in questo periodo di grave emergenza da Coronavirus.
Tale figura professionale riesce a curare il monitoraggio dello stato di salute degli assistiti, mediante visite domiciliari, follow up telefonici, telemedicina, in modo da evitare che sia la persona a rivolgersi ai servizi solo quando sono già presenti disturbi o complicazioni; può presidiare i passaggi di setting assistenziale, con particolare riguardo agli aspetti più critici della continuità delle cure facendosi garante della presa in carico lungo l’intero percorso assistenziale, può intervenire fornendo consigli sugli stili di vita e sui fattori comportamentali a rischio. Conosce, inoltre, la rete dei servizi presenti in quello specifico territorio ed è quindi in grado di orientare e facilitare l’accesso appropriato e tempestivo dell’utente a tutti i servizi esistenti.
«Noi lo diciamo da tempo: occorre credere di più e sostenere la figura dell’infermiere di famiglia e comunità, introdotta già dal 2000 dall’Oms – spiega Danilo Massai, presidente dell’Ordine delle Professioni Infermieristiche interprovinciale di Firenze – Pistoia -. I cittadini, a maggior ragione oggi, hanno bisogno di un punto di riferimento nel loro territorio, che dia risposte certe e immediate alle loro domande e che agevoli una riduzione del tasso di ospedalizzazione. Occorre garantire alle persone una continuità assistenziale. Si parla della necessità media di avere un infermiere ogni 500 assistiti – prosegue -, quindi occorre iniziare a pensare tempestivamente a come integrare l’organico esistente per guardare con più fiducia al domani. L’infermiere di famiglia e di comunità – conclude Massai – può e deve essere messo in condizione di garantire un’ottima gestione dell’assistenza territoriale. Ora tale intervento non è più rinviabile».