“Mio padre non si è suicidato. Adesso c’è anche la prova della perizia calligrafica. Quella lettera di addio non è mai stata scritta da mio padre, come sosteniamo dal primo istante. La Procura di Palermo deve riaprire l’inchiesta sulla sua morte. Dopo quasi 30 anni è arrivato il momento della verità”. Fabio Lombardo, il figlio del maresciallo dei Carabinieri Antonino Lombardo, trovato morto nella caserma dei Carabinieri di Palermo nel marzo del 1995, non ha mai creduto alla tesi del suicidio di suo padre. E non ha mai smesso di lottare per “conoscere finalmente la verità”. “Vogliamo sapere cosa è successo quel giorno, e cosa ha portato alla morte di mio padre – racconta Fabio Lombardo in una intervista all’Adnkronos – Ci sono troppe stranezze in tutta la vicenda. Dal primo istante, da quando è stato ritrovato il corpo senza vita di mio padre”. Fabio e la sorella Rossella hanno presentato alla Procura di Palermo una richiesta di riapertura dell’inchiesta sulla morte del loro padre. Nove pagine, firmate dall’avvocato Alessandra Maria Delrio del foro di Sassari, in cui, viene inserita anche la perizia calligrafica di parte che sottolinea che la lettera trovata accanto al cadavere del sottufficiale non sarebbe stata scritta da lui. E che è una novità.
“Si ritiene che i documenti in verifica, non appartengano alla mano dello scrivente dei documenti in comparazione”, scrive la perita Valentina Pierro, criminologa e grafologa forense. In altre parole, quella lettera trovata accanto al sedile del maresciallo non l’avrebbe scritta lui. Ma cosa scrive la famiglia nella richiesta di riapertura delle indagini? “Per far luce sui tanti dubbi illustrati, la famiglia Lombardo ha scelto di percorrere la strada dell’accertamento scientifico, iniziando da quella lettera d’addio presente sul lato passeggero della Tipo e restituita ai famigliari come ultimo saluto – si legge nella richiesta visionata dall’Adnkronos – Ma si può accettare l’ultimo abbraccio di un padre e di un marito senza esser certi della sua autenticità? La risposta è no! Per questa ragione e per sete di verità e giustizia, si è conferito incarico alla dottoressa Valentina Pierro, criminologa e grafologa forense, al fine di redigere apposita consulenza tecnica, affinché effettuasse un’analisi comparativa tra la lettera testamento rinvenuta nell’auto del Lombardo ed i documenti originali del Maresciallo Antonino Lombardo, in possesso della famiglia, e quindi riferire i risultati dell’indagine tramite una relazione scritta”.
“Le motivazioni sono chiare, è l’esito dell’accertamento, consegnato via mail ai famigliari, che lascia basiti e urla a gran voce l’esigenza di ulteriori riscontri su quella morte”, dicono i familiari. La dottoressa Pierro conclude la sua perizia, scrivendo: ‘Dal confronto tra la scrittura in verifica ed in comparazione, firma in verifica ed in comparazione, sono emersi alcuni punti di comunanza, per quanto riguarda le caratteristiche generali delle scritture, ma non per quanto riguarda ai segni più particolari, indicativi della personalità dello scrivente”. “Dunque, all’esito dell’accertamento tecnico svolto dalla grafologa, il maresciallo Lombardo non avrebbe scritto la lettera testamento fotografata accanto al suo cadavere e riconsegnata ai famigliari come autentica! Qualcuno l’ha scritta per lui. Qualcuno ha scelto quali dovessero essere le sue ultime parole, ha scelto dove indirizzare nell’immediatezza lo sguardo dell’inquirente – scrive il legale nella richiesta – Ma, allora è lecito e doveroso domandarsi: Un soggetto terzo, che avrebbe simulato le ragioni dell’addio, avrebbe potuto, allo stesso modo, inscenare il suicidio? La fede attribuita in atti all’autenticità di quelle righe, pur senza riscontro e la carenza di accertamenti tecnici adeguati, ci fa propendere per una soluzione affermativa che può essere fugata solo da attente perizie tecniche”.
Ecco cosa c’era scritto in quella lettera: “Mi uccido per non dare la soddisfazione a chi di competenza di farmi ammazzare e farmi passare per venduto e principalmente per non mettere in pericolo la vita di mia moglie e i miei figli che sono tutta la mia vita… Non ho nulla da rimproverarmi poiché sono stato fedele all’Arma per trentuno anni e, malgrado io sia arrivato a questo punto, rifarei tutto quello che ho fatto. La chiave della mia delegittimazione sta nei viaggi americani…”. Una lettera su cui non c’era neppure uno schizzo di sangue, nonostante fosse stata ritrovata accanto al corpo del maresciallo.
Sulla morte di Lombardo, nel 2015, la Dda di Palermo aveva riaperto l’inchiesta dopo che il figlio si era recato in Procura per consegnare dei documenti importanti. Ma nel 2018 è stata archiviata. “Fui ascoltato dai pm Teresi, Del Bene, Tartaglia e Di Matteo – dice Fabio Lombardo – gli stessi del processo Trattativa, ma quell’inchiesta non approdò mai a niente… Non venne fatta neppure la perizia calligrafica per accertare che quella lettera fosse stata scritta da mio padre”.
“Questa istanza – aggiunge il figlio del maresciallo -va smontare la prima archiviazione dell’inchiesta che fu aperta per istigazione al suicidio. Era il 1997. La richiesta fu firmata da da sette magistrati. E poi accolta dal gip. Loro scrissero che c’era la certezza assoluta del suicidio. E ci erano arrivati dalle parole dei testimoni, ma nessuno parla di un colpo di arma da fuoco”. Due giorni prima di morire, il maresciallo Lombardo chiamò la vedova di Paolo Borsellino, Agnese Piraino Leto, per annunciarle che da lì a poco le avrebbe portato “su un vassoio di argento la verità sulla morte di suo marito”. Così, come anni prima le disse che avrebbe catturato il boss Riina per vendicare la morte del giudice. “E lo fece”, dice il figlio. A raccontarlo a Fabio è stata la stessa vedova Borsellino. “Le parlai nel 2006 per invitarla alla presentazione di un libro e in quell’occasione mi disse che mio padre l’aveva chiamata appena 48 ore prima della sua morte”.
A metà novembre Fabio Lombardo sarà ascoltato, per la prima volta, dalla Commissione nazionale antimafia. “Finalmente sarò sentito – dice – Lo chiedo da molti anni e adesso potrò raccontare tutti i misteri sulla morte di mio padre in una sede istituzionale”.
Un anno fa il figlio del maresciallo aveva parlato di una “borsa sparita” contenente “documenti importanti sulla trasferta negli Usa” con il boss Gaetano Badalamenti, e delle “stranezze” di una pistola impugnata sul grembo, di un’ogiva “probabilmente falsa”, di “uno sparo non sentito” e della lettera d’addio “messa in auto solo dopo lo sparo, sul lato passeggeri”. Un mistero dietro l’altro, dietro la morte del maresciallo Antonino Lombardo, il sottufficiale del Ros trovato con la testa insanguinata nella sua auto, nel marzo 1995, all’interno della caserma dei Carabinieri ‘Bonsignore’ di Palermo. Ufficialmente morte per suicidio.
Tra le varie stranezze di questo caso ci sarebbero anche gli spari non sentiti in caserma. Alle 22.30 è l’allora capitano Sergio De Caprio, Ultimo, a sentire un colpo secco. “Un brigadiere dice a De Caprio che c’è una persona in auto che si sente male. E si è allontanato. Avvisano il centralino e vengono avvisati gli ufficiali vari – dice il figlio del maresciallo – Le testimonianze di quella sera non finiscono qua. C’era un militare in servizio presso il battaglione Sicilia e stranamente dice: ‘Escluso di avere visto il maresciallo Lombardo né in entrata né in uscita. Un sottotenente, capo di picchetto al Battaglione Sicilia, dice di non avere visto il maresciallo Lombardo, anche perché non lo conosceva. Inoltre non ha neppure sentito esplodere un colpo di arma da fuoco. L’unico che sente un colpo di arma da fuoco secco è De Caprio. Come fa il sottotenente a non sentire a 30 m di distanza il colpo mentre De Caprio che era a 70 metri di distanza lo sente?”. “Nessuno ha visto entrare mio padre, un fantasma insomma- si sfoga Lombardo – C’è un vuoto dalle 20.30 alle 22.30”. Un altro mistero è quello della borsa scomparsa. “Si è sempre parlato della borsa di Borsellino e dell’agenda sparita o della borsa di Dalla Chiesa, ma mai della borsa scomparsa di mio padre”. “All’interno di quella borsa – dice il figlio del maresciallo – c’erano documenti su indagini e documenti sugli Stati Uniti”. Dove il boss Gaetano Badalamenti sarebbe stato pronto a raccontare la sua verità su molti misteri di Cosa nostra.
“Ma l’accertamento tecnico è solo uno dei bizzarri riscontri che hanno condotto alla presente richiesta di riapertura indagini – si legge ancora nel documento presentato alla Procura – Ad alimentare la necessità di un’adeguata ricostruzione vi sono anche le dichiarazioni postume di alcuni soggetti che sembravano presenti nel luoghi del decesso all’atto della ricostruzione fornita dalla Procura, salvo poi rivelarsi estranei, sebbene citati quali testimoni oculari di fatti e orari. Poco più di un anno fa, infatti, sul profilo facebook di Fabio Lombardo, è pervenuto il messaggio di un carabiniere che affermava di non essere in servizio la notte del decesso del Maresciallo, pur se dagli atti la sua presenza fosse data per accertata. Sarà lo stesso, dal suo profilo, a scrivere e chiarire, dopo una diretta facebook di Fabio Lombardo. “Forse, proprio il confuso affollarsi di quegli occulti misteri ha lasciato che l’epilogo restasse intrappolato, con la sua verità, in quel tortuoso labirinto buio che lascia spazio alle supposizioni ed al complottismo, annebbiando la strada dei riscontri oggettivi, sino ad imboccare la via del caotico silenzio dell’archiviazione: Suicidio! – scrive il legale – Una soluzione che lascia spazio a troppi dubbi, non tanto per la stranezza di un suicidio in divisa, che si inquadrerebbe solo in uno dei non pochi drammi della dura vita militare, quanto per le lacune che , incontrovertibilmente, hanno segnato l’evoluzione investigativa, di certo ed inevitabilmente distratta dalle numerose vicende correlate che si atteggiavano da cause o moventi ma che, di fatto, hanno allontanato gli investigatori dal nucleo centrale dell’indagine: può essersi ucciso in quel modo? Quella scena del crimine, racconta, con un’accettabile certezza scientifica un suicidio?”.
“Proprio per creare una barriera tra il confuso affollarsi degli eventi connessi ed il “fatto morte”, si è scelto di inquadrare l’indagine difensiva non sul “perché” ma sul “ cosa “ è accaduto – si legge nella richiesta di riapertura delle indagini – Si è tornati dunque a riesaminare i riscontri di quel lontano 4 marzo, stavolta analizzando le informazioni immediate che hanno potuto raggiungere l’attualità inalterate. Tra queste, i rilievi fotografici eseguiti all’interno della Caserma Bonsignore che, giunti a noi, anche se con una scarsa qualità, descrivono uno sparo alla tempia, obliquo ed una mano sul grembo, ben salda a quella che, ad un primo sguardo, pare essere l’arma del delitto, quella di ordinanza del maresciallo Lombardo. Un finestrino aperto dal lato guidatore e la foto di un’ogiva, lucida, che si rappresenta esser stata rinvenuta nel retro dell’auto ( ?). Da qui i primi dubbi, legittimi, anche oggi, e non di certo riconducibili ad una reazione sentimentalistica”.
“Le domande sono numerose: La fuoriuscita dell’ogiva, rispetto alla posizione del corpo, era compatibile con la posizione assunta da Lombardo al momento dello sparo? Avrebbe potuto il proiettile superare le tempie dell’uomo, senza andare a urtare contro il montante dell’auto? – dice l’avvocato della famiglia Lombardo – Risposte certe non vi sono mai state, solo quesiti mai posti e dal tenore squisitamente scientifico. Le massicce tracce di sangue presenti sul colletto, nel lato posteriore del collo, avrebbero reso necessaria un’indagine più accurata. Ma non vi è traccia di un accertamento in tal senso, sebbene, anche al più ingenuo lettore di gialli mediocri, si palesi come atto dovuto, non dunque elemento per raggiungere un supremo concetto di giustizia ma semplice accertamento di routine”.
“Ma le domande non si limitano a quelle che suggerisce questo mancato riscontro – dice la famiglia -Altre si ammucchiano anche di fronte ad un’analisi superficiale e incompetente, arricchendosi di perché mai accertati: se la mano che ha sparato era quella del Maresciallo Lombardo, sono state rilevate le tracce di sangue di quello spostamento dalla tempia al grembo? Anche questo quesito non è stato mai posto alla scienza. Si è dovuto accettare e si deve ancora accettare, senza riscontri adeguati, che ogni tassello di quel puzzle faccia parte dell’affermato epilogo suicidario, pur in assenza di rilievi tecnici, gli unici adeguati e necessari a far luce su un decesso; anche a tutela di quei familiari che attendevano per cena una parte fondamentale della loro vita affettiva. Ma nessuna autopsia, non appare necessaria, neppure per cercare eventuali tracce di sostanze o accertare l’arco temporale in cui far intervenire, con ragionevole probabilità, il decesso”. Adesso si attende il passo successivo di questo mistero lungo 27 anni. (di Elvira Terranova)