“Per affrontare l’epatite C ad oggi sono rimaste fondamentalmente due terapie di combinazione, molto ben tollerate, che possono permettere la guarigione in tempo rapido. Per questo il problema principale si sposta più sull’identificare i pazienti che rimangono da trattare. L’idea, in un’ottica di eliminazione del virus, è trovare questi pazienti e avviarli il più in fretta possibile al trattamento perché con un paio di mesi di trattamento chiudiamo la partita”. Così Giuliano Rizzardini, direttore del Dipartimento Malattie Infettive dell’ispedale Sacco di Milano, intervenuto durante il XX Congresso nazionale Simit.
“Il ministero della Salute ha dato dei fondi per implementare queste strategie che sono però rimaste un po’ bloccate dal Covid – prosegue Rizzardini – La speranza è che la pressione della pandemia diminuisca e si riesca a ripartire per identificare il cosiddetto sommerso”.
Per affrontare l’epatite C le terapie brevi a disposizione stanno mostrando diversi vantaggi: “Le terapie brevi hanno pochi effetti collaterali e ti permettono di essere sicuro che venga mantenuta una stretta aderenza – spiega Rizzardini -. Una terapia breve ha più probabilità di essere portata a termine, infatti abbiamo ottenuto risultati positivi nel 99% dei casi”.