(Adnkronos) – “L’Italia è il Paese che effettua il maggior numero di screening neonatali. Una buona notizia, ma è importante che si sappia anche come seguire e prendere in carico nel tempo i pazienti, soprattutto nell’ambito delle malattie lisosomiali”. Lo ha sottolineato Maurizio Scarpa, coordinatore di Metabern, la rete di riferimento europea per le malattie metaboliche rare, nel suo intervento oggi al convegno ‘Screening neonatale esteso. 2006-2021, 5 anni di progressi. Sfide e prospettive per il futuro’, organizzato da Osservatorio malattie rare.
“Il 99% delle malattie lisosomiali non portano alla morte il bambino nel primo mese di vita – ha evidenziato lo specialista – Al contrario, sono patologie progressive, per questo motivo il paziente deve essere preso in carico per tutto l’arco temporale della sua storia clinica, ma soprattutto deve essere preso in carico quel paziente che non ha ancora la sintomatologia, perché solo più ritardata. Quindi non servono ospedalizzazioni e terapie inutili, ma semmai è fondamentale seguire queste persone nel tempo. Per fare questo, però, ci vogliono risorse. Quindi, ben venga l’inserimento di nuove patologie rare nel panel italiano, ma prima bisogna fare un discorso di risorse, lavorare con i centri di screening, potenziare questi centri anche dal punto di vista educazionale”.
“Purtroppo, stiamo perdendo esperti per motivi anagrafici – ha avvertito Scarpa – Nei prossimi 10 anni molti di noi saranno andati in pensione, è fondamentale che arrivino medici nuovi che sappiano utilizzare i dati che vengono generati dagli screening neonatali per poter diagnosticare i pazienti in maniera adeguata e precoce, al fine di studiare terapie e creare una nuova assistenza per pazienti con malattie metaboliche rare”.
“Lo screening neonatale non è un test – ha precisato Scarpa, che è anche direttore del Centro di coordinamento per le malattie rare, Azienda sanitaria Friuli Centrale – non è una cosa per la quale si deve chiedere il consenso al momento del parto, la mamma ha sicuramente altro da pensare. Piuttosto, lo screening neonatale deve entrare nella preparazione della coppia al parto, coppia che deve poi essere seguita con un team di psicologi ed esperti per spiegare qual è la malattia, prenderla in carico e formulare tutte le terapie nutrizionali o farmacologiche ma con il consenso e la partecipazione da parte della famiglia. Purtroppo, tutto ciò non avviene nelle nostre regioni, nei nostri centri”.
Da qui, la necessità un “Consensus panel” che Metabern ha realizzato con la collaborazione delle associazioni di pazienti e alla Società internazionale di screening neonatale, “con tanto di decalogo – ha rimarcato l’esperto – necessario affinché lo screening neonatale sia considerato sistema e non trattato come un test”.