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Il j’accuse delle parti civili a Saguto: “Aziende cannibalizzate”

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(Adnkronos) – (dall’inviata Elvira Terranova) – Parlano di “aziende cannibalizzate” e “spolpate fino all’osso” che, dopo il sequestro eseguito dall’ex potente giudice Silvana Saguto, “sono state polverizzate in virtù di un patto scellerato”. Con “centinaia di famiglie finite sul lastrico” e costrette “a chiedere l’elemosina per campare”. E’ un durissimo atto d’accusa, quello lanciato oggi, al processo d’appello a carico dell’ex Presidente della Sezione Misure di prevenzione Silvana Saguto, accusata di corruzione e abuso d’ufficio, e condannato in primo grado a otto anni e mezzo. A prendere la parola sono stati i legali di parte civile che hanno citato l’ex magistrata, nel frattempo radiata dall’ordine, per i danni che hanno subito le aziende dopo il sequestro. alcune sono anche fallite.  

“Abbiamo visto aziende cannibalizzate come la ‘Logistica e servizi’, un’azienda florida che aveva dei rapporti di clientela molto importanti, anche in campo internazionale e tutto questo è stato polverizzato”, dice l’avvocato Antonio Pecoraro, legale di parte civile di Rosaria Abbate, ex socia dell’azienda ‘Logistica e Servizi’ che fu sequestrata dall’ex giudice Silvana Saguto. “La mia assistita si è trovata sul lastrico e la famiglia si è trovata a elemosinare denaro per sopravvivere”. Pecoraro non risparmia frecciate all’indirizzo dell’ex giudice, che non è in aula. “Abbiamo visto lo svilimento delle funzioni giudiziarie per i fatti oggetto di condanna in primo grado – spiega – In primo grado è stato dimostrato il patto corruttivo tra la Saguto e l’avvocato Cappellano Seminara per la nomina dello stesso ed è abbastanza chiaro che vi fosse un rapporto speciale, mi si passi il termine, malato tra la Presidente Saguto e l’avvocato Cappellano”.  

“E questo ha portato a perdere di vista l’oggetto della misura di prevenzione e dell’amministrazione giudiziaria – aggiunge – Saguto per questo rapporto corruttivo aveva bisogno di fagocitare denaro per rimpinguare le casse della famiglie che erano sempre depauperate per comportamenti scellerati”. Per il legale “si perdeva di vista il bene della misura di prevenzione e della figura del’amministratore giudiziario”.  

Altrettanto duro l’avvocato Luca Inzerillo, che rappresenta i Virga. “Quel sequestro voluto dal giudice Saguto ha realizzato la devastazione familiare di almeno 300 o 400 persone e ha gettato, da un giorno all’altro, nella miseria più assoluta centinaia di famiglia, vengono i brividi solo a pensarci. E i beni sono stati restituiti in condizioni disastrose. Dire che sono stati oggetto di rapina è poco, una societa è fallita e altre società, non fallite, hanno debiti non ancora quantificati”, dice con forza il legale nel corso dell’arringa. Alla famiglia Virga nel luglio del 2015 l’ex giudice Silvana Saguto eseguì un sequestro per svariati e svariati milioni di euro. “Il Tribunale di Caltanissetta in questo procedimento ha accertato l’esistenza di un accordo illecito – prosegue l’avvocato Inzerillo – e non si è pronunciato sulla richiesta della parte civile, perché ha sostenuto che il pm non ha chiesto di valutare la legittimità del sequestro, ma solo la legittimità della nomina dell’amministratore giudiziario che è contenuta all’interno del provvedimento di sequestro. Signori della Corte, a me viene da ridere, perché osservi la pagliuzza nell’occhio di tuo fratello mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio? E’ chiaro che il vulnus che la scelta della Procura ha determinato nell’interesse dei miei assistiti è enorme, e non lo dico per polemica”. E cita una sentenza della Corte di Cassazione del 2002.  

Poi aggiunge: “Abbiamo la prova che il sequestro Virga sia falso, noi lo sappiamo. Ma non è oggetto di contestazione”. La stragrande maggioranza dei beni è stata restituita nel giugno del 2021 agli imprenditori Virga di Marineo dal Tribunale di Palermo, ma la battaglia giudiziaria prosegue ancora su diversi fronti. I Virga, tramite l’avvocato Luca Inzerillo, lo scorso anno avevano presentato una denuncia alla Procura della Repubblica nissena. Ritengono che il sequestro deciso dalle Misure di prevenzione nel 2015, quando la sezione era ancora presieduta da Saguto, fosse nullo. Quando scattò il sequestro il patrimonio degli imprenditori era stato stimato in 1,6 miliardi di euro fra impianti di calcestruzzo, imprese edili, aziende agricole, produzione di gas terapeutici ed industriali, ristorazione, immobili. All’epoca si parlò “del più grande sequestro mai avvenuto” nella storia della misure di prevenzione in Italia. Ma i Virga hanno sempre parlato di un valore non superiore ai 25 milioni di euro. 

Alla fine della requisitoria, lo scorso 24 febbraio, la Procura generale di Caltanissetta, ha chiesto la condanna a dieci anni di carcere per Silvana Saguto, dunque un anno e mezzo più del primo grado. I giudici, nella sentenza di primo grado, non ritennero l’ex magistrata colpevole di associazione a delinquere, accusa che decadde. Mentre la Procura generale, guidata da Lia Sava, ha ribadito che “l’associazione c’era” tra “Saguto, il marito Lorenzo Caramma e l’avvocato Cappellano Seminara”. La pm Claudia Pasciuti ha chiesto un aumento della pena, oltre che per Saguto, anche per l’amministratore giudiziario Gaetano Cappellano Seminara (otto anni e tre mesi), in primo grado condannato a sette anni e mezzo. Secondo l’accusa Saguto sarebbe stata al centro di un vero e proprio “sistema” che avrebbe pilotato l’assegnazione delle amministrazioni giudiziarie dei beni sequestrati alla mafia in cambio di favori. Al termine della requisitoria sono stati chiesti, inoltre, aumenti di pena per altri imputati: sette anni e due mesi per l’ex professore della Kore Carmelo Provenzano condannato in primo grado a sei anni e dieci mesi; sei anni e mezzo per Lorenzo Caramma, marito di Silvana Saguto, condannato in primo grado a sei anni e due mesi di carcere; per Roberto Nicola Santangelo, amministratore giudiziario, condannato in primo grado a sei anni e due mesi, chiesti sei anni e quattro mesi di carcere.Per gli altri imputati del processo d’appello è stata chiesta la conferma della sentenza di primo grado. L’ex prefetto di Palermo, Francesca Cannizzo venne condannata in primo grado a tre anni.  

Chiesta la conferma anche per Walter Virga, condannato in primo grado a un anno e 10 mesi, per l’amministratore giudiziario Roberto Santangelo, condannato a sei anni due mesi e dieci giorni, per il colonnello della Dia Rosolino Nasca (quattro anni), per il professor Roberto Di Maria (due anni otto mesi e venti giorni) per Carmelo Provenzano, professore dell’università Kore di Enna (sei anni e dieci mesi), la moglie Maria Ingarao (quattro anni e due mesi), la cognata Calogera Manta (quattro anni e due mesi), per Emanuele Caramma, figlio dell’ex giudice, chiesta la conferma della condanna a sei mesi. Assolti invece in primo grado il padre dell’ex giudice, il novantenne Vittorio Saguto, Aulo Gabriele Gigante e il giudice Lorenzo Chiaramonte. Assoluzioni diventate definitive 

L’avvocato Luca Inzerillo, proseguendo la discussione, ha poi aggiunto: “Il provvedimento di sequestro Virga non è stato neanche letto dalla Saguto, dopo essere stato firmato. L’unico apporto che la Saguto da al provvedimento di sequestro è stata la modifica della data del 25 giugno 2015, quando i funzionari della Dia entrano nel suo ufficio e stampano il provvedimento e lei dice ‘Almeno la data cambiamola’. Contrariamente all’assunto del pm, secondo cui il frutto dell’accordo corruttivo è stata la nomina ad amministratore giudiziario e viene difficile comprendere come la nomina di un amministratore giudiziario possa essere frutto dell’accordo corruttivo”.  

L’avvocato Inzerillo prosegue: “Hanno parlato di un sequestro del valore 1,6 miliardi di euro, una cifra enormemente amplificata, ma che trovano un appiglio processuale, nel momento in cui anche il pm affermava che anche le liquidazioni avvenivano sulla base del numero della complessità dei procedimenti, quando accadeva tutto questo, due giorni dopo l’esecuzione del sequestro, avvenuto il 6 luglio 2015, dopo 10 giorni dalla firma del provvedimento di sequestro, i due componenti del collegio che apparentemente avevano cooperato alla decisione, avevano accolto la proposta della Dia, con grande candore domandano: ‘Ma l’hai depositato il provvedimento Virga? Chi ci hai messo come amministratore giudiziario? Rizzo? Ma chi è Rizzo?’. Tutta Italia ne parlava. Era la notizia del momento. Tutti i tg ne parlavano”.  

“Il sequestro Virga è stato pressoché totalmente rigettato dal Tribunale di Palermo, perché era palesemente infondato”, dice. Poi aggiunge: “Non è ammissibile che per una scelta della Procura, in presenza di una prova certa, i miei assistiti non abbiano ristoro”. L’avvocato Inzerillo spiega ancora: “Noi abbiamo le intercettazioni che dimostrano tutto quello che è accaduto. Solo paragonando questa motivazione che si limita a provvedimenti di liquidazione con la decisione di adottare una provvedimento di sequestro che getta, da un giorno all’altro, nella miseria più assoluta centinaia di famiglia, vengono i brividi” 

L’avvocato Giuseppe Oddo, rappresentante di parte civile della Motoroil, ha ribadito che “L’accertamento della prova oltre ogni ragionevole dubbio costituisce il modo di essere di noi avvocati, ma qui non c’è stato un ragionevole dubbio”. Motoroil, dopo la sentenza di prima grado, come parte civile, aveva ricevuto come provvisionale la somma di 90 mila euro. Tra le vicende emerse nel corso del primo processo si ricorda, in particolare, quella legata alla vicenda di Andrea Repoli, ex dipendente della Motoroil che da un giorno all’altro venne licenziato. Il pm Maurizio Bonaccorso, durante la requisitoria, fu molto duro nei confronti degli amministratori giudiziari di Motoroil, entrambi imputati. ”Non so come finirà, magari Nicola Santangelo e Carmelo Provenzano verranno assolti, ma per questa vicenda dovranno vergognarsi a vita”, disse. ”I due, con una lettera, decisero di trasferire a Castellammare del Golfo un ragazzo che lavorava alla Motor oil di Caltanissetta, Andrea Repoli, mandando a 250 chilometri di distanza un giovane che percepiva 800 euro al mese- spiegava -Lo scopo era quello di metterlo con le spalle al muro e poi licenziarlo per giusta causa”. Il processo è stato rinviato al prossimo 24 marzo per l’inizio delle discussioni dei difensori. Il primo a discutere darà il legale dell’ex giudice Saguto, l’avvocato Ninni Reina.