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Il Meyer e l’università di Firenze scelti dalla Harvard University a collaborare sugli screening neanatali

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La Harvard University e dieci altri centri specialistici dislocati in diversi altri paesi europei, oltre che negli Stati Uniti, hanno proposto ai ricercatori dell’Università di Firenze di collaborare alla definizione di nuovi programmi di screening neonatale. La richiesta è maturata dopo che i test sviluppati dall’Azienda Ospedaliero Universitaria Meyer e dall’Università di Firenze si sono rivelati più affidabili ed efficaci, oltre che molto più economici, di quelli statunitensi nell’individuare una delle più gravi immunodeficienze congenite, quella da deficit dell’enzima Adenosina Deaminasi.

In particolare un recente studio, cui hanno partecipato ricercatori fiorentini e scienziati inglesi e tedeschi e statunitensi, ha certificato per la prima volta la capacità del test di identificare tutte le forme cliniche del difetto in fase precoce. “I nostri esperimenti hanno consentito di prevedere malattie dopo solo due giorni di vita anche se queste patologie potranno insorgere nei mesi e intorno ai 7 anni – spiega Giancarlo La Marca, ricercatore del Dipartimento di Farmacologia – mentre i test sviluppati dai colleghi americani si sono rivelati meno attendibili”.

Risultati comparati fra i due metodi sono stati oggetto di una pubblicazione da parte della rivista Journal of Allergy and Clinical Immunology e sono valsi un importante riconoscimento internazionale. Il test diagnostico è stato scoperto e brevettato all’Università Firenze da Giancarlo La Marca, Chiara Azzari e Massimo Resti. Consente di identificare una malattia rara, che ha un grave impatto nella vita del bambino e può portare a encefalite, sepsi, poliomielite e altre malattie causa di danni permanenti e irreversibili.

Il difetto metabolico di Adenosina Deaminasi grazie alle terapie enzimatiche sostitutive, a quelle geniche e al trapianto di midollo, è perfettamente curabile: per questo è importantissimo individuarlo, prima che si manifesti con le sue conseguenze. L’incidenza della malattia stimata ad oggi è di 1 su 50mila nuovi nati ma potrebbe essere anche più frequente..

Agipress

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