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Plusvalenze calcio, ecco perché club e dirigenti ‘innocenti’: la sentenza

Adnkronos
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(Adnkronos) –
E’ impossibile stabilire quanto vale o costa un calciatore nel calciomercato: ecco perché il processo plusvalenze si è concluso con una sentenza di proscioglimento di club e dirigenti: da Juve a Napoli, da Andrea Agnelli a Aurelio De Laurentiis. La procura della Figc ha usato ”un” metodo per stabilire il valore dei calciatori. Ma “il” metodo per stabilire quanto vale un calciatore sostanzialmente non esiste: “Tale valore è dato e nasce in un libero mercato, peraltro caratterizzato dalla necessità della contemporanea concorde volontà delle due società e del calciatore interessato”, scrive il Tribunale federale della Figc nelle motivazioni della sentenza. 

Il Tribunale “ritiene, in primo luogo, che solo poche delle cessioni esaminate dalla Procura Federale presentino quelle caratteristiche dalla stessa individuate quali sintomi di operazioni “sviate” e finanziariamente “fittizie”. Indubbiamente, tali cessioni destavano e destano sospetto, che tuttavia non attinge la soglia della ragionevole certezza, data da indizi gravi, concordanti e plurimi, così come già ritenuto in passato”, osserva l’organo giudicante. 

“Il metodo di valutazione adottato dalla Procura Federale può essere ritenuto “un” metodo di valutazione, ma non “il” metodo di valutazione. Mentre, il confronto con le valutazioni presenti nel sito Transfermarkt (per quanto utilizzate in talune perizie o richiamate in alcuni contratti per volontà convenzionale delle parti contraenti) non può corroborare quel metodo, atteso che trattasi di un sito privato (peraltro non unico), privo di riconoscimento ufficiale anche e soprattutto da parte degli organismi calcistici internazionali e nazionali, influenzato da valutazioni di soggetti privati meri utenti del sito stesso”, si legge. 

Le valutazioni della Procura sono soggettive. “Al metodo di valutazione adottato dalla Procura Federale potrebbero contrapporsi altri, ugualmente degni di apprezzamento”, e caratterizzati da altri elementi distintivi: “la necessità di entrate finanziarie, anche per compensare esborsi per acquisizioni”, “la necessità di rinforzare la squadra in uno o più ruoli, che magari presentino una scarsità di offerta valida, con inerente lievitazione del corrispettivo di acquisizione”. In sostanza, “il Tribunale ritiene che non esista o sia concretamente irrealizzabile ‘il’ metodo di valutazione del valore del corrispettivo di cessione/acquisizione delle prestazioni sportive di un calciatore”. 

Alla fine, il prezzo del cartellino del giocatore dipende da domanda e offerta: “Il valore di mercato di un diritto alle prestazioni di un calciatore rappresenta il valore pagato dalla società acquirente al termine di una contrattazione libera, reale ed effettiva di quel diritto sul mercato di riferimento; e il libero mercato non può essere guidato da un metodo valutativo (quale che esso sia) che individui e determini il giusto valore di ogni singola cessione. Non foss’altro perché, in tal caso, il libero mercato non esisterebbe più per la fissazione di corrispettivi di cessione sostanzialmente predeterminati da quel metodo di valutazione”. 

Se proprio si volessero introdurre parametri e valori ‘fissi’, bisognerebbe chiamare in causa la Fifa, “trattandosi di disciplina sovranazionale e mondiale”. 

In conclusione, “una volta ritenuto non utilizzabile il metodo di valutazione posto dalla Procura Federale a fondamento del deferimento e in assenza di una disposizione generale regolatrice, consegue che le cessioni oggetto del deferimento stesso non possono costituire illecito disciplinare”.