“Nell’accampamento di Giorgia Meloni, a cui in tanti profetizzano una quasi sicura vittoria elettorale, si immagina vi sia in questi ultimi giorni un sentimento misto, fatto di euforia e di preoccupazione. E se è lecito dare un consiglio, senza troppa malizia, sarebbe forse il caso che fosse la preoccupazione, e non l’euforia, la nota dominante.
Tutta l’esperienza di questi anni infatti ammonisce i vincitori sulla precarietà delle loro vittorie. E’ già capitato a Renzi, ai grillini e a Salvini di festeggiare numeri generosi, e di vederli svanire prima del tempo sotto l’effetto di delusioni e malumori fin troppo precoci. Il fatto è che c’è una difficoltà trasversale a tenere il passo delle aspettative, per non dire del passo ancora più affrettato delle promesse seminate qua e là. Illudersi di non correre questo rischio sarebbe una pericolosa leggerezza, quali che siano i numeri che gli elettori ci consegneranno.
Nel caso di Giorgia Meloni (se toccherà a lei) si annuncia forse una difficoltà in più. Che è quasi racchiusa nelle sue caratteristiche e nel suo percorso di questi ultimi tempi. Lei infatti è giovane, è donna, è tipicamente outsider, viene da una stagione di opposizione. Rompe gli schemi, annuncia un cambio di passo. Il suo tasso di novità appare insomma più alto della media, fino a configurare la richiesta di un vero e proprio mandato nei suoi confronti. Situazione che può ingenerare inedite simpatie ma anche aspettative a cui poi risulta ancor più difficile corrispondere.
Il fatto è che la destra, anche nella versione meloniana, ama porsi come un fattore di rottura. Le sue promesse elettorali sono fin troppo generose (anche con se stessi a volte, come è noto). La sua pazienza non sembra essere la maggiore virtù di cui dispone. E il suo spirito istituzionale resta ancora da mettere alla prova. Tutte cose che non annunciano l’apocalisse, ma forse configurano qualche rischio in più per il sistema paese e anche per chi sarà chiamato a guidarlo.
Così ora si annuncia all’Europa che ‘la pacchia’ è finita, si promette ai contribuenti che le tasse diminuiranno a vista d’occhio, si rassicurano le corporazioni che non si dovrà liberalizzare più di tanto, si giura che gli sbarchi finiranno come per incanto. E via dicendo e promettendo. Tutte cose nelle quali gli altri azionisti del centrodestra, Salvini e Berlusconi, tendono a esagerare molto più di lei. Ma che finiranno per condizionarla più di quanto lei ama credere.
Meloni potrebbe obiettare di essere stata, fin qui, più sobria e più attenta dei suoi alleati. E infatti, ha tenuto il punto sull’Ucraina, tema piuttosto spinoso anche da quelle parti. Si è opposta allo scostamento di bilancio, evitando di fare altro debito. Ha perfino lasciato trapelare se non proprio simpatia almeno un certo rispetto per Draghi e per la sua fatica, pur essendo stata l’unica forza di opposizione in questo finale di legislatura. Posizioni per le quali merita un briciolo di apprezzamento anche da parte di chi non la voterà mai.
E tuttavia, all’indomani del voto (sempre che vinca) l’insieme di tutte queste difficoltà faranno sì che la Meloni si trovi infine davanti a un bivio. Delle due l’una, infatti. O prenderà atto che i vincoli (europei, di bilancio, di sistema) la costringono a mettere da parte molti degli argomenti della sua stessa campagna elettorale. E in quel caso non saranno felici i suoi elettori. Oppure terrà fede alle parole d’ordine di questi giorni, indulgendo al sovranismo, pagando dazio ai suoi alleati più irrequieti, coccolando l’elettorato più barricadiero e magari tentando di far prevalere il diritto nazionale su quello europeo (vero nodo del contendere). E allora si troverà a malpartito nei luoghi nei quali si decide largamente la sorte del nostro paese.
Insomma è assai probabile che all’indomani del voto la Meloni, se vincerà, si troverà a dover decidere se prendere di petto il suo elettorato o prendere di petto il principio di realtà. In entrambi i casi, la sua strada sarà in salita, e la salita sarà piuttosto ripida e sdrucciolevole”.
(di Marco Follini)