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Pd, Borghi avverte: “Con Conte o con Calenda? Occhio, ci vogliono distruggere”

Adnkronos
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(Adnkronos) – “Sì, abbiamo perso. E’ giusto aprire una riflessione. Ma con lucidità e freddezza. Senza esagerare con le dichiarazioni apocalittiche e senza la fiera dei personalismi…”. Enrico Borghi, neo senatore Pd e membro della segreteria di Enrico Letta, parla così all’Adnkronos del dibattito che si è aperto tra i dem dopo il voto di domenica tra congresso, ipotesi di scioglimento o cambio del nome al partito e il fioccare di candidature per la segreteria. “Abbiamo vinto? No. Ma abbiamo appena preso milioni di voti e che facciamo, ci sciogliamo? Siamo il primo partito di opposizione e il secondo in Parlamento. Dire che siamo annichiliti e mettersi il saio, anche no…”.  

Senatore Borghi, lei spinge sull’orgoglio Pd ma i suoi colleghi sembrano già divisi tra chi guarda a Conte e chi a Calenda, ancora prima di aprire una riflessione sul vostro partito. Non è così? “Aprire un discussione che si lancia subito su chi vuole stare con Calenda e chi con Conte, fa il gioco degli altri. Io dico ai miei colleghi: non facciamo vincere ora, chi ci voleva ammazzare e non c’è riuscito. Occhio che siamo dentro una tenaglia micidiale”.  

La tenaglia sarebbero Conte e Calenda? “In queste elezioni c’è stata anche una competizione interna alle coalizioni che ha visto il Pd sventare l’operazione di Conte e Calenda – avatar di D’Alema e Renzi – che aveva un obiettivo preciso: far fare al Pd la fine del partito socialista francese. E loro a fare Melenchon da una parte e Macron dall’altra. Ma non ci sono riusciti. Non lasciamo che ci riescano ora”. Non è che va finire che ci scappa una scissione? “Le scissioni non hanno mai portato da nessuna parte”.  

Senatore Borghi, lei è molto duro su Conte e Calenda. Ma in Parlamento come opposizione non ci si dovrà organizzare insieme? “L’opposizione si può fare in tanti modi. Noi non dobbiamo essere gregari di nessuno. Né di Conte che ha perso più di 6 milioni di voti. Né di Calenda che aveva come obiettivo andare sopra il 10% ed è rimasto ben sotto. Il suo tentativo contro di noi non è riuscito, continua ad attaccarci ogni giorno ma prima o poi dovrà far pace con la vita…”.  

“Ogni cedimento, ogni ammiccamento significa indebolirci. Noi dobbiamo difendere l’idea originaria del Pd contro il peronismo massimalista di Conte da una parte e un centro pronto a rinverdire le peggiori stagioni del trasformismo italiano, dietro al richiamo a Macron ci sono quelli pronti per tutte le stagioni… Non dobbiamo cadere in questa trappola”.  

Il Pd sembra anche diviso sui tempi del congresso. Letta lo vuole il prima possibile, la sinistra chiede tempi più lunghi. Quando si farà questo congresso? “E’ una discussione che trovo surreale. Da Statuto abbiamo già il congresso fissato nei primi mesi del 2023. Ma di che stiamo parlando?”. Ma ha fatto bene Letta a convocarlo? “Certo. Dopo una sconfitta è un’assunzione di responsabilità, sua e di tutti noi, chiamare il nostro appuntamento più grande per aprire una riflessione vera senza scantonare i problemi”. 

Però si parla più di candidati che di idee al momento… “Il referendum sui nomi è una scorciatoia. Le candidature possono essere solo figlie di un progetto politico. Altrimenti è solo trasformismo e quello lo lasciamo a Conte. Noi invece dobbiamo chiarire che cosa è il Pd oggi, innanzitutto”.  

“In questi anni siamo andati troppe volte al governo come protezione civile. Ma dopo che i vigili del fuoco hanno spento un incendio, non si riconoscono più le loro divise perché coperte di fuliggine. Ecco questo è un po’ quello che è successo a noi. Quindi stiamo all’opposizione e lavoriamo a una proposta per vincere le prossime elezioni. E qualora il governo Meloni dovesse andare a gambe all’aria per qualsiasi ragione, la parola torni agli italiani. Per il Pd la stagione dei governi di emergenza, di unità nazionale è definitivamente finita”.