(Adnkronos) – “Lunedì 22 maggio le guardie russe presso il valico di Kozinka sono state facilmente sopraffatte da un primo gruppo di circa cinquanta ‘corpi russi di volontari’ e ‘legionari per la libertà della Russia”, entrambi costituiti da cittadini russi che hanno combattuto contro le truppe del Cremlino in Ucraina e da quel giorno hanno cominciato a combattere il despota anche a casa loro. Presto sono diventati più di cinquecento e sono stati capaci di occupare (o ‘liberare’) quasi quaranta chilometri di territorio, fino al villaggio di Gravyoron, a un’ora e venti di macchina dalla stessa Belgorod”. Lo dice l’esperto di geopolitica David Rossi, analizzando con l’Adnkronos l’incursione senza precedenti in territorio russo, a inizio settimana, dei gruppi militari russi filo ucraini. “Lo hanno fatto con incredibile facilità – commenta Rossi – ma soprattutto quasi a volto scoperto, come a dire al Cremlino e al mondo che non erano ucraini camuffati ma proprio cittadini russi pronti alla rivolta armata o alla guerra civile”.
“Finora, si erano limitati a gesti simbolici, come la promozione dei loro simboli e della parola ‘libertà’ – continua l’analista – Quando avevano fatto azioni di sabotaggio e colpito obiettivi mirati, lo avevano fatto mantenendo sempre un basso profilo. Dal 22 maggio hanno mostrato i volti dei loro comandanti, quasi a sfidare Putin e Shoigu, ma soprattutto hanno compiuto – da russi – un’azione di lotta partigiana in territorio russo – quindi, una cosa diversa dal separatismo dei ceceni – Ma soprattutto, hanno usato apertamente per la prima volta il termine ‘guerra civile’, che va ben oltre il dissenso e l’opposizione pacifica di Navalny o Kara-Murza, bloccati in carcere da lunghe condanne. Insomma, ci hanno dato la chiave di lettura del gesto: l’inizio di un conflitto intestino armato e di un movimento di liberazione interno alla Federazione russa”.
“Dallo scorso ottobre i russi si sono dedicati alla costruzione della così detta ‘linea Wagner’ – ricorda Rossi – Binari infiniti di blocchi di cemento di forma piramidale installati in Crimea, nel Donbass – parecchi chilometri alle spalle della prima linea, implicitamente anticipando lo sfondamento del fronte da parte delle truppe di Kiev – e nelle regioni russe attorno all’Ucraina nord-orientale, a una distanza che fino a pochi giorni fa avremmo ritenuto fin troppo prudenziale. Questo sistema di difesa, secondo testimonianza, ha retto per meno di un minuto all’attacco a sorpresa di un contingente ben organizzato ma numericamente piccolo. Meno di sessanta secondi: il tempo necessario ai veicoli pesanti – attrezzati come dei rudimentali bulldozer – a spingere da parte i ‘denti di drago’. Nelle ore successive alcuni video occidentali hanno dimostrato come un carro armato Challenger 2 può togliere di mezzo tali blocchi di cemento quasi senza sforzo”.
“La cosa non suona neppure strana – prosegue Rossi – Era parso evidente da subito che le famigerate ‘piramidi di cemento’ fossero solo appoggiate sulla superficie, mentre gli svizzeri, per decenni ‘maghi’ nell’installazione di questo genere di protezione li ‘ancoravano’ affondandoli nel terreno di uno o due metri. Anche senza un bulldozer, un colpo di artiglieria da 155 millimetri o anche di un calibro più piccolo li potrebbe distruggere o spostare. Molte foto diffuse sui social testimoniano, infine, che gli ‘anelli’ con cui erano stati sollevati dalle gru al momento dell’installazione invece che essere interrati sono stati lasciati sulla parte superiore, quasi ad agevolarne la rimozione. Insomma, si tratta di una decorazione che – a guerra finita – i contadini potranno spostare coi trattori o anche solo con la forza di una o due dozzine di braccia”.
“Con questa operazione, durata quasi tre giorni e caratterizzata dalla penetrazione ‘agevole’ attraverso almeno quattro punti della frontiera – rileva Rossi – Kiev ha dimostrato che le ‘fortificazioni’ a cui Mosca ha affidato il compito di proteggere le proprie posizioni nell’Ucraina occupata sono inutili, a meno che non siano costantemente presidiate da soldati ben preparati e ben equipaggiati. Insomma, al massimo servono a coprire dei fucilieri o dei cecchini. Come se non bastasse, i vertici militari ucraini – rischiando addirittura martedì 23 di chiudere in una sacca più di trecento chilometri di territorio russo – hanno avuto la conferma che il Cremlino ha le truppe contate: l’operazione avrebbe potuto concludersi in una carneficina per i ‘ribelli anti-Putin’ se ci fossero state alcune migliaia di truppe ben addestrate e ben armate pronte all’uso, mentre alla prova dei fatti i ‘volontari’ e ‘legionari’ russi – al prezzo di allungare troppo le linee di rifornimento e le vie di fuga – avrebbero potuto anche spingersi più in profondità”.
“Come dar torto all’ex colonnello dell’FSB, ex ministro della difesa di Donetsk e attuale miniblogger nazionalista Igor Girkin – dice ancora Rossi – quando afferma che tali raid transfrontalieri fanno parte di una più ampia strategia di controffensiva ucraina, volta a distogliere truppe dai territori occupati per ‘coprire le falle’ nelle regioni di confine? Né ha torto il patron di PMC Wagner, Yevgeny Prigozhin , quando sostiene che le inefficienze del sistema politico-militare russo abbiano messo in pericolo la sicurezza degli oblast russi attorno all’Ucraina e che la Federazione russa stessa rischi uno scenario come il 1917. Non sono solo i ‘denti di drago’ a uscire sgretolati da questo episodio della guerra: lo stesso destino capita anche a una delle maggiori armi della propaganda russa in occidente. L’operazione toglie dal tavolo, infatti, i timori che attacchi ucraini – o, come in questo caso, ‘favoriti’ da Kiev – abbiano come conseguenza un’escalation del conflitto e una reazione devastante di Mosca: il 24 febbraio di un anno fa, all’inizio dell’’operazione militare speciale’, Putin ammonì contro le ‘interferenze dall’esterno per ostacolarci o tanto più di creare minacce per la Russia: la risposta sarebbe stata senza precedenti nella storia'”.
“Facendo eco a quelle parole – conclude Rossi – il Cremlino e gli analisti occidentali contrari al riarmo di Kiev hanno spesso paventato il rischio di una reazione durissima di Putin & C. alle ‘minacce’ contro il proprio territorio. Attacchi con droni, sabotaggi, lanci di missili e adesso l’occupazione dimostrativa di una parte del territorio russo testimoniano il contrario: Mosca sa di essere impotente e che le condizioni delle forze armate russe – ma anche della società, dell’economia e dello stato – non permettono al Cremlino di rispondere seriamente ad alcuno, anzi confermano che attaccare la Russia sul proprio territorio – a Belgorod come a Mosca – è l’unico modo per avere la certezza di essere ascoltati: non c’è modo migliore per costringere il Cremlino a tirare la coperta corta delle proprie truppe da una parte per, poi, colpire dall’altra. Vallo a dire a Putin che questa fu la strategia dei russi contro Napoleone…”.