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Mafia, Santoro scrive a Mattarella: “A repentaglio mia incolumità”

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(Adnkronos) –
Michele Santoro scrive a a Sergio Mattarella a proposito dell’inchiesta della Procura di Caltanissetta sul collaboratore di giustizia Maurizio Avola, accusato di calunnia aggravata. “Caro presidente, spero che non trovi inopportuna questa mia lettera; sono costretto a rivolgermi a Lei per denunciare una grave ferita inferta non soltanto alla mia persona e a quella di altri in contatto con me ma a principi costituzionali fondamentali come la libertà di opinione, di movimento e il diritto alla difesa di ciascun cittadino. Ciò avviene nell’indifferenza generale delle istituzioni di controllo, delle maggiori fonti di informazione, della Federazione della Stampa e dell’Ordine dei Giornalisti e, di conseguenza, dell’opinione pubblica”, si legge.  

Il giornalista fa riferimento all’inchiesta sulle esternazioni del collaboratore Maurizio Avola, che poi sono state inserite nel libro di Santoro “Nient’altro che la verità”. I racconti di Avola sull’eccidio del giudice Paolo Borsellino e degli agenti della scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina non hanno trovato alcun riscontro oggettivo dagli accertamenti investigativi sia di natura documentale che storica. 

“Lo scorso 9 luglio ho dovuto apprendere dal quotidiano ‘La Sicilia’ la notizia del deposito da parte dei Pubblici Ministeri di Caltanissetta della richiesta di archiviazione nei confronti del collaboratore di giustizia Maurizio Avola, di Aldo Ercolano, vice di Nitto Santapaola a capo del clan catanese appartenente a Cosa Nostra, e di altri mafiosi di livello dello stesso clan, iscritti per il reato di strage per gli eccidi del 1992 di Capaci e via d’Amelio – scrive Santoro – L’indagine era stata aperta a seguito delle clamorose dichiarazioni di Avola, protagonista del libro da me scritto con Guido Ruotolo ‘Nient’altro che la Verità’, con le quali il collaboratore di giustizia raccontava la sua vita e per la prima volta descriveva la composizione del commando e le esatte modalità di esecuzione dell’attentato in cui hanno perso la vita Borsellino e la sua scorta. Secondo il quotidiano catanese non solo i pm ritenevano priva di riscontri attendibili l’inedita narrazione della strage ma avevano acquisito prove inoppugnabili della sua falsità. Perciò la Procura, considerando dimostrata la malafede di Avola, ipotizzava il reato di calunnia nei riguardi dei mafiosi del gruppo Santapaola”. 

“La notizia della richiesta d’archiviazione era in quel momento coperta da segreto e veniva diffusa senza che gli interessati, e in primo luogo il difensore di Maurizio Avola, ne ricevessero formale avviso – prosegue il giornalista – Prima ancora che ‘Nient’altro che la verità’ venisse distribuito nelle librerie, la stessa Procura, a maggio del 2021, a indagini ancora aperte, in maniera del tutto irrituale e certamente non conforme ai principi codificati, aveva emesso un comunicato che si spingeva a ipotizzare un depistaggio a cui il collaboratore di giustizia aveva partecipato con la complicità dei giornalisti e dell’avvocato difensore. Sta di fatto che un boss di prima grandezza come Aldo Ercolano, condannato all’ergastolo ostativo, pensò bene di usare le valutazioni della Procura per denunciare me e Maurizio Avola per calunnia, contestazione che i Pubblici Ministeri hanno incredibilmente esteso al suo difensore, l’avvocato Ugo Colonna”.  

“Ricordo solo di sfuggita, non avendo mai né ottenuto né richiesto scorte o servizi di protezione, che il mio nome, alla vigilia delle stragi, era nell’elenco dei condannati a morte di Cosa Nostra del quale facevano parte anche Borsellino e Falcone. Ma ciò non ha comportato alcuna prudenza da parte di questi ‘alfieri dell’antimafia’. In più, con la richiesta di archiviazione, nel fascicolo giudiziario a disposizione delle parti sono state disinvoltamente inserite notizie di contributi a inchieste in corso e immagini recenti di Maurizio Avola, oltre che informazioni dettagliate sul luogo e la città dove attualmente lavora e vive senza alcuna protezione – lamenta Michele Santoro – La prima ragione per cui ho deciso di scriverle è che è stata messa a repentaglio la nostra incolumità. Se dovesse capitare qualcosa a ciascuno di noi, ai nostri familiari e, in particolare, a un collaboratore di giustizia che si è rivelato fondamentale per smantellare la ‘famiglia’ Santapaola-Ercolano, tutti è bene che sappiano a chi se ne devono attribuire le responsabilità e quali sono le istituzioni che si sono mosse per impedire che ciò accadesse”.