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La sorella del Dalai Lama: “Il Tibet era un luogo felice, l’Occidente ignora la nostra tragedia”

Adnkronos
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(Adnkronos) – Il Tibet passato, con la sua religione e le sue tradizioni, e il Tibet di oggi, completamente trasformato dalla presenza cinese e ridotto in condizioni drammatiche, con cittadini considerati di serie B che non possono praticare la loro fede e le loro usanze, senza che l’Occidente si accorga di nulla. Così descrive all’Adnkronos la situazione del suo paese Jetsun Pema, la sorella del Dalai Lama Tenzin Gyatso, a Venezia in occasione della Giornata degli Autori, rassegna autonoma all’interno della Mostra del Cinema, che le ha dedicato un appuntamento particolare con anche la proiezione dell’anteprima italiana del documentario ‘Amala – La vita e la lotta della sorella del Dalai Lama’. Un evento organizzato da Unione Buddhista Italiana, Fandango, Women in Film, Television &Media Italia.  

“Quella di oggi qui a Venezia è un’occasione importante per far conoscere la reale situazione, le vere condizioni in cui versa attualmente il Tibet – spiega – E questo documentario aiuterà a comprendere cosa è accaduto, a comprendere come l’esilio del popolo tibetano abbia avuto un enorme impatto sulle vite delle persone. Il Tibet è occupato dalla Cina che ha trattato, e continua a trattare i tibetani come cittadini di seconda classe. In Tibet non possiamo più praticare la nostra religione e i nostri costumi liberamente, non ci sono abbastanza vestiti e cibo per tutta la popolazione, tutta la nostra vita è controllata dalla Cina. Io sono scappata dal paese che avevo otto anni e ci sono tornata dopo 35 anni: sono rimasta scioccata per quello che mi è stato raccontato. Non c’è stata una persona tra quelle con cui ho parlato che non avesse perso almeno un membro della propria famiglia durante questi anni. Molti sono anche stati mandati in campi di lavoro forzato per costruire case per il popolo cinese. In quei tre mesi trascorsi in Tibet non è passato un giorno senza che io piangessi ascoltando le storie di violenza e ingiustizie subite dai tibetani in questi anni”.  

“Nella mia memoria di bambina il Tibet era un luogo felice, bellissimo con un popolo molto pacifico e la vita era molto semplice. Il mio paese non era tanto sviluppato quanto gli altri paesi, perché ha dato più importanza allo sviluppo della mente piuttosto che al miglioramento di oggetti materiali”, ricorda Jetsun Pema, che, dopo il viaggio in Tibet, ha scritto un reportage sulla situazione della sua terra che le è costato l’inserimento nella lista nera di coloro che non possono più entrare a vita nel paese stilata dal governo cinese.  

Se la sorella del Dalai Lama non può più tornare nel suo Tibet, intende comunque dare voce a chi non ce l’ha perché il mondo conosca le tragiche condizioni del suo popolo. “È nostro compito fare da portavoce per queste persone, perché molti nel mondo occidentale non hanno idea di quello che sta succedendo in Tibet. – evidenzia Jetsun Pema – Divulgando queste informazioni spero che più persone si interessino a questo problema, trovando nuovi modi per aiutare il mio popolo. Sua Santità è disposto a parlare con il governo cinese per trovare una soluzione pacifica al problema, lo ha sempre detto. La sua soluzione sarebbe quella di trovare una via di mezzo che soddisfi sia i bisogni del popolo cinese che quelli del popolo tibetano, dandoci la possibilità di ritornare nel nostro paese e di poter praticare la nostra religione e le nostre usanze”.  

Per il futuro puntare sui bambini e i giovani. “L’obbiettivo di Sua Santità è quello di offrire un’istruzione moderna, ma che allo stesso tempo promuova le nostre radici e la nostra cultura. Per i giovani questo avrà un ruolo fondamentale, in quanto ci aiuterà a tenere in vita l’identità del popolo tibetano – sottolinea Jetsun Pema, ex presidente di Tibetan Children’s Villages che si prende cura degli organi tibetani – Durante questi anni in esilio, abbiamo avuto la possibilità di tornare a praticare la nostra religione e istruire i nostri figli. Tutto questo viene fatto con la speranza che un giorno potremo tornare nel nostro paese. Per rendere tutto ciò possibile, bisogna mantenere viva l’identità e cultura del Tibet e penso che le nuove generazioni avranno un ruolo fondamentale in tutto ciò: se i giovani tibetani vengono istruiti bene le nostre speranze non moriranno. Oggi viviamo in un mondo interdipendente, ed è ancora più importante avere una mente e un cuore aperto per poter vivere in pace con gli altri e con la natura che ci circonda. Proprio per questo motivo è importante che la nuova generazione al di fuori del Tibet si interessi alle difficoltà che stiamo affrontando”.  

E la salute del Dalai Lama? “L’ultima volta che ho visto mio fratello è stato prima di partire per l’Europa. Era appena tornato da un viaggio di sei settimane in Ladakh, una zona remota dell’India conosciuta come ‘Piccolo Tibet’ e stava bene. Ha anche fatto una visita medica a Delhi dove i dottori hanno confermato fosse in perfetta salute. Sua Santità è sempre stato molto ottimista, e crede che la vita vada vissuta un giorno per volta. Incontrarlo mi conferisce il coraggio che mi serve per continuare la mia missione”.  

Jetsun Pema ha poi voluto ricordare quando in passato era venuta in Italia, nel 1962, quando studiava in Svizzera. “Sono stata a Firenze e a Venezia, che è cambiata molto. Mi ricordo molto bene che nel ’62 in Piazza San Marco c’erano centinaia di piccioni e pochissime persone, ora è l’opposto – conclude la sorella del leader spirituale tibetano – Gli italiani però sono rimasti uguali, molto amichevoli e gentili. Inoltre, il cibo, la cultura e il turismo continuano ad avere un ruolo fondamentale qui. Ho anche notato che le persone a Venezia sembrano molto meno straniere rispetto a quelle che avevo visto qui nel ‘62. Con l’aumento del turismo ai giorni d’oggi sono pochi a dare ancora importanza a queste differenze, perché la società si sta formando sempre di più una comunità internazionale. Infine, il messaggio che vorrei lasciare agli italiani è quello di conservare bene la loro cultura, soprattutto i loro modi accoglienti e gentili verso tutti”. (di Giselda Curzi)