(Adnkronos) – Torna, puntuale, la tensione sullo spread. Il differenziale tra i Btp italiani decennali e il corrispondente Bund tedesco è l’indicatore che si muove quando cambia la percezione dei mercati rispetto al rischio Paese. Nel caso dell’Italia, che si porta dietro il peso di un debito storicamente troppo alto rispetto al Pil, ogni segnale che può essere letto nel senso di un minore rigore di bilancio, e quindi di una maggiore incertezza, produce una reazione negli investitori internazionali. L’effetto immediatamente visibile è la crescita dello spread e del rendimento del titolo di Stato di riferimento.
Lo spread salito ieri alla soglia di 200 punti base è un campanello d’allarme. Non solo perché è il termometro di una fiducia che si consuma, con la reazione quasi meccanica ai dati della Nadef che descrivono una manovra economica finanziata con nuovo deficit, ma anche perché l’attuale contesto internazionale, con l’inflazione ancora troppo alta e una crescita che è troppo bassa in tutta Europa, potrebbe innescare una spirale in cui la speculazione fa la sua parte.
Succede quando a un aumento della percezione del rischio, quello che sta avvenendo in queste ore, si somma la scommessa su un potenziale default. Il precedente del 2011, tornato sotto i riflettori con la scomparsa del presidente Giorgio Napolitano e la rievocazione del crollo del governo Berlusconi, è evidentemente un termine di paragone che non tiene. Almeno in questa fase. Non ci sono quelle condizioni: il governo gode di una maggioranza solida, non c’è instabilità politica, i fondamentali dell’economia italiana sono migliori.
L’andamento dello spread, che resta indicatore fedele della reputazione dell’Italia sui mercati, va considerato però con la dovuta attenzione. Perché le scelte della politica economica, partendo da quelle che si stanno per compiere con la Legge di Bilancio, sono il principale fattore che gli investitori internazionali considerano quando devono fare le loro di scelte. E perché quando la tensione sale oltre il livello di guardia, si ritraggono gli investitori che poggiano le loro valutazioni sulla fiducia e si ripresentano gli speculatori, che fiutano la possibilità di fare affari.
Per questo, più che per altre ragioni, il rigore nella gestione dei conti pubblici, pur ponendo vincoli, aiuta la politica economica. Fa pesare meno il debito, lascia margini di manovra perché contribuisce ad abbassare il costo del finanziamento del Paese sui mercati. E’ a questo che si riferisce il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti quando dice di temere il giudizio dei mercati e non quello della Commissione Ue. Fare deficit per finanziare misure che servono, alla politica economica e anche agli equilibri nella maggioranza, non è un reato. Ma le conseguenze vanno tenute nella giusta considerazione. Guardando proprio allo spread. (Di Fabio Insenga)