Quello che succede a Gaza, quello che è successo a Sderot in Israele e l’attacco di Hamas non nascono dal nulla. Gli osservatori più consci lo sanno da anni e lo ripetono. Nessuna voglia di polarizzazione, solo analisi di un dato: l’esasperazione di un popolo oppresso si ripercuote su chi ha voluto esasperare un conflitto.
Non c’è, in queste parole, nessuna giustificazione per l’orrendo attacco “alluvione”. Nessuna guerra dimostrativa, costruita sulla base di attacchi terroristici e uccisione di civili è giustificabile. In nessun modo. Tuttavia, è necessario spiegare perché la Palestina si radicalizza e si è radicalizzata.
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Le scelte di Israele negli ultimi giorni, l’impossibilità di una mediazione con Gaza rappresentano il fallimento di una politica israelo-palestinese che è andata morendo negli ultimi 10 anni. Hamas si è ingigantita, mentre l’Olp è piano piano sparita dai radar. Motivo? Nessuna mediazione con Netanyahu è possibile. Il conflitto è congelato, come se non ci fosse. Eppure, la recrudescenza cresce e l’insofferenza è tangibile.
Il popolo palestinese non ha avuto possibilità di confronto. Gli israeliani, intanto, si sono quasi dimenticati del fatto di avere un popolo povero, oppresso, ai confini. Mentre la rabbia si incanalava nei cunicoli di Gaza, gli israeliani non consideravano più problematica la Striscia. Vedi il rave nel deserto, a pochi chilometri da quel lembo di terra rimasto oltre Israele. E’ una decisione incomprensibile, quella di organizzare nel deserto a due passi dal confine, se non si considera che i giovani israeliani hanno dimenticato la questione palestinese. L’insofferenza di un popolo che ha visto Israele ingigantirsi e il suo territorio ridefinirsi in piccole strisce qua e là. Cosa che, oggi, non permette di creare quella che gli slogan vorrebbero: la soluzione dei “due stati due popoli”.
In fondo, questa non era la soluzione del Primo Sionismo degli anni Dieci-Trenta del Novecento. Lo dimostra anche Hannah Arendt, che in quel periodo, da tedesca, aiutava, come attivista, gli ebrei ad andarsene in Palestina. L’ideale del tempo: uno stato per due popoli. Ebrei e Palestinesi. Oggi, invece, che Israele rappresenta lo Stato Ebraico il problema si moltiplica. Perché oggi è quasi impossibile parlare di Israele in modo critico – non condividi la politica militare dello stato ebraico? Sei antisionista, antisemita, nazista.
Tutto il contrario. Israele è stata continuamente ammonita da Onu e da Organizzazioni di Pace e di Aiuti Umanitari per le continue oppressioni verso un popolo, quello di Gaza. Quel popolo che piano piano si è organizzato in alcune organizzazioni terroristiche. Tra queste c’è Hamas. La più radicale.
Oggi, 11 ottobre 2023, Israele ha creato ancora più complessità. Il conflitto inasprirà nuovamente i rapporti – forse non c’era altra soluzione alla guerra. Ma il popolo palestinese, che si ritrova bombardato, non avrà nessuna intenzione di riappacificarsi con Israele. Perché Israele ha deciso di interrompere tutto: non più acqua in Palestina, non più gas, non più cibo, non più aiuti umanitari.
Una decisione che mette a repentaglio ogni mediazione. Intanto, anche nella parte sud di Gaza, quella che confina con la Regione del Sinai egiziana, è stato interrotto ogni passaggio. Ora che il valico di Rafah è inagibile, anche gli aiuti umanitari dall’Egitto non sono perseguibili. Nessun palestinese potrà scappare in Egitto. Nessun palestinese potrà uscire dai confini di Gaza per non essere costretto all’inedia.
In tutto questo a rimetterci sono i due popoli. La causa prima: Hamas e il terrorismo. La causa seconda: una politica israeliana che ha fatto di tutto per permettere ai gruppi terroristici di organizzarsi, fare accordi con l’Iran e trovare gli appoggi necessari per mettere fuori uso lo strumento anti-missilistico dello Stato ebraico. Non rimediare tramite mediazione ha condotto a una polarizzazione, tutta interna alla Palestina, che ora invaderà Israele, di nuovo, come anni fa.
In tutto questo i civili di entrambi i paesi sono le vittime di una politica cieca, come ha detto, subito dopo l’inizio del conflitto, Moni Ovadia. Civili sequestrati da Hamas, che potrebbero essere completamente sterminati senza mediazione. Civili senza possibilità di aiuti umanitari, senza ospedali funzionanti in Palestina. Per colpa di un gruppo terroristico che, seppur popolare, non può essere paragonato alla Palestina intera.
In tutto questo ci sono solo dei vinti e nessun vincitore. La vera prova di forza oggi si gioca a livello mondiale. Non è un caso che Putin dica che questo è “il fallimento della politica statunitense sul Medio Oriente”. Dove la ricerca di una normalizzazione tra Riyad e Tel Aviv è rilevante, ma secondaria. Dove le prove di forza geopolitiche più grandi, dall’appoggio russo all’Iran e quelle statunitensi all’Arabia Saudita non sono avulse da tutto.
A rimetterci, come sempre, sono gli indifesi – da ambo le parti. E la politica internazionale non sta cercando la pace. Anzi, i venti di guerra sono più forti che mai.