(Adnkronos) – Streptococco, istruzioni per l’uso. Quanto è pericolosa l’infezione che l’anno scorso, dopo la pandemia di Covid, è tornata a livelli record soprattutto nei bimbi più piccoli? E come diagnosticarla correttamente per poter iniziare la cura giusta in tempi rapidi? Lo spiegano in uno studio pubblicato su ‘Lancet Microbe’ i ricercatori della Pediatria e della Microbiologia della Fondazione Policlinico Gemelli Irccs e dell’università Cattolica di Roma. “Sì ai test rapidi in farmacia, ma solo come screening. Per la diagnosi di certezza – raccomandano gli esperti – è bene ricorrere a un tampone faringo-tonsillare, effettuato presso un laboratorio di microbiologia. La tipizzazione dei ceppi più virulenti, come l’M1, è importante” anche “per seguire la traiettoria epidemiologica”.
“Le infezioni da streptococco sono state l’incubo dello scorso anno”, che ha fatto registrare “un’importante recrudescenza soprattutto a carico dei bambini in età prescolare. Tanti nel 2023 i piccoli a letto con febbre alta e tonsille gonfie, con le farmacie prese d’assalto per i test diagnostici”. Questo il quadro da cui è partita l’analisi degli autori della ricerca. Considerando i 6 anni dal 2018 al 2023, il lavoro ha indagato l’incidenza dell’infezione da Streptococcus pyogenes (Gas), analizzata dall’osservatorio privilegiato del Pronto soccorso pediatrico del Gemelli diretto da Antonio Chiaretti, associato di Pediatria generale e specialistica alla Cattolica, che nell’arco temporale esaminato ha raccolto oltre 1.800 campioni.
“Negli anni della pandemia Covid, cioè dal 2020 al 2022 – descrive Maurizio Sanguinetti, ordinario di Microbiologia alla Cattolica, direttore del Dipartimento Scienze di laboratorio e infettivologiche e della Uoc Microbiologia del Policlinico Gemelli – abbiamo osservato una significativa riduzione di infezioni da streptococco, sia in termini di quantità dei campioni pervenuti (per un ridotto accesso al nostro ambulatorio ospedaliero), ma anche una significativa riduzione della percentuale dei campioni positivi. Le misure di protezione non farmacologiche, come la mascherina, hanno in questi anni ridotto il contatto con il microrganismo e l’infezione. Quando invece queste protezioni nel 2023 sono state rimosse, abbiamo osservato una ripartenza dell’infezione, con un’incidenza tornata rapidamente ai livelli del periodo pre-pandemico, quando i campioni positivi erano il 13-16% di tutti quelli esaminati”. Ma la vera differenza registrata nel 2023, rispetto al pregresso – sottolineano gli specialisti – è stata che la fascia d’età colpita non era quella solita, cioè i bambini in età scolare e pre-adolescenziale, bensì una molto più bassa, dai 3 ai 6 anni.
“Il sospetto – ragiona Sanguinetti – è che i bambini, essendo stati protetti in modo importante restando a casa e con le mascherine, non abbiano sviluppato la normale immunità parzialmente protettiva nei confronti dell’infezione”.
“Si tratta di un concetto molto importante – approfondisce l’esperto – che riguarda i benefici del venire a contatto con i microrganismi. Nel corso della pandemia, per cause di forza maggiore, c’è stato un utilizzo massivo di strumenti di protezione che hanno genericamente ridotto il contatto con tutti i microrganismi. Ma il contatto con i microrganismi è fondamentale per ‘allenare’ il nostro sistema immunitario a rispondere alle infezioni. L’ipotesi, dunque, è che il ridotto contatto con questo microrganismo abbia determinato nei bambini più piccoli un cosiddetto ‘debito immunologico’ che ha impedito loro di sviluppare una protezione, anche parziale, nei confronti del microrganismo e questo ha comportato una maggiore incidenza di infezioni. Dunque, se da una parte la protezione dalle infezioni è fondamentale, soprattutto in un momento di emergenza come è stato quello della pandemia di Covid-19, è altrettanto chiaro che il contatto con i microrganismi funge anch’esso da ‘prevenzione’, perché un contatto a basso livello determina lo sviluppo di una certa protezione, l’instaurarsi di una certa immunità che poi viene riattivata più efficacemente quando si viene a contatto con il microrganismo”.
“Rispetto all’evoluzione epidemiologica – rileva Sanguinetti – la nostra ricerca e varie altre evidenze pubblicate in letteratura segnalano un po’ ovunque tanti piccoli outbreak da Streptococco piogeno, con un aumento delle patologie invasive legate in particolare all’immunotipo M1, che è il più grave e virulento. Questo ci porta ad un’altra importante riflessione, e cioè che la diagnostica di queste infezioni deve essere effettuata in modo opportuno”.
“I test antigenici rapidi effettuati in farmacia – rimarca Sanguinetti – possono essere un valido strumento di screening, anche se sono gravati da tanti risultati falsi positivi e falsi negativi. Ma se un bambino è fortemente sintomatico (febbre alta, tonsille aumentate di volume e infiammate) e risulta negativo al test rapido, sarebbe opportuno ripetere il test in un laboratorio per confermare questa diagnosi. Lo stesso ragionamento vale anche in caso di positività al test rapido: solo un tampone faringo-tonsillare effettuato in laboratorio, seguito da esame colturale (e da un eventuale saggio in vitro di sensibilità ai farmaci, cioè un antibiogramma), permette di caratterizzare il microrganismo, con ricadute sia diagnostiche che epidemiologiche per valutare l’eventuale circolazione di ceppi iper-virulenti. Dunque sì al test in farmacia, da integrare però in alcuni casi da una conferma/approfondimento in laboratorio”.
“Nessun allarmismo – conclude lo specialista – perché questa è una malattia che conosciamo bene, ma al contempo bisogna evitare di essere superficiali, perché nel 2023 c’è stata una recrudescenza importante e perché questo microrganismo può dare infezioni invasive, anche in individui sani, e importanti sequele a distanza di anni, a livello dei reni (glomerulonefrite post-streptococcica), delle valvole cardiache e delle articolazioni, in particolare nel caso del ceppo M1”.